CONDOMINIO – Artt. 1667 e 1669 c.c. – Le garanzie dell’appalto

LE NORME:

Articolo 1667 Codice Civile, Difformità e vizi dell’opera comma
L’appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera. La garanzia non è dovuta se il committente ha accettato l’opera e le difformità o i vizi erano da lui conosciuti o erano riconoscibili, purché in questo caso, non siano stati in malafede taciuti dall’appaltatore. 1
Il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all’appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta. La denunzia non è necessaria se l’appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati. 2
L’azione contro l’appaltatore si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell’opera. Il committente convenuto per il pagamento può sempre far valere la garanzia, purché le difformità o i vizi siano stati denunciati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna. 3
Articolo 1669 Codice Civile, Rovina e difetti di cose immobili comma
Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta. 1
Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia. 2

LA GIURISPRUDENZA SULL’ART. 1669 C.C.:

– “storia della norma”

Cassazione civile sez. un. 27.03.2017 n. 7756, dalla motivazione: Derivata dall’art. 1792 del codice napoleonico (il quale stabiliva che “Si l’edifice construit a prix fait, perit en tout ou en partie par le vice de la construction, meme par le vice du sol, les architecte et entrepreneur en sont roonsables pendant dix ans”), essa così recitava sotto l’art. 1639 c.c. del 1865: “Se nel corso di dieci anni dal giorno in cui fu compiuta la fabbricazione di un edificio o di altra opera notabile, l’uno o l’altra rovina in tutto o in parte, o presenta evidente pericolo di rovinare per difetto di costruzione o per vizio del suolo, l’architetto e l’imprenditore ne sono responsabili”. Rispetto all’ascendente francese, la norma aveva, dunque, aggiunto un quid pluris (cioè le altre opere notabili e il pericolo di rovina). Ma – si noti – aveva mantenuto inalterato il soggetto della seconda proposizione subordinata (“…l’uno o l’altra…”), cioè l’edificio, cui appunto aveva aggiunto “altra opera notabile”. Un ulteriore e consapevole passo in avanti è stato operato dal codice civile del 1942, il quale prevede che quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purchè sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta. Si legge nella relazione del Guardasigilli (par. 704): “Innovando poi al codice del 1865 si è creduto di non dover limitare la sfera di applicazione della norma in questione alle sole ipotesi di rovina di tutto o parte dell’opera o di evidente pericolo di rovina, ma si è estesa la garanzia anche alle ipotesi in cui l’opera presenti gravi difetti. Naturalmente questi difetti devono essere molto gravi, oltre che riconoscibili al momento del collaudo, e devono incidere sempre sulla sostanza e sulla stabilità della costruzione, anche se non minacciano immediatamente il crollo di tutta la costruzione o di una parte di essa o non importano evidente pericolo di rovina. Non vi è dubbio che la giurisprudenza farà un’applicazione cauta di questa estensione, in conseguenza del carattere eccezionale della responsabilità dell’appaltatore”. (Il riferimento alla riconoscibilità dei gravi difetti al momento del collaudo è, ad evidenza, un fuor d’opera. Concessa per un decennio, la garanzia ex art. 1669 c.c. copre anche e soprattutto i gravi difetti che si manifestino soltanto in progresso di tempo). Come si è visto, però, la postulata eccezionalità dell’art. 1669 c.c., non è valsa ad arginarne l’applicazione. Chiamata a dotare il sintagma “gravi difetti” di un orizzonte di senso, la giurisprudenza ha ovviamente seguito l’unica strada percorribile, quella di stemperare la vaghezza del concetto giuridico al calore dei fatti. … Il mutamento di prospettiva nel codice del 1942 è evidente per due ragioni. La prima, d’ordine logico, è che la nozione di “gravi difetti” per la sua ampiezza è omogenea a qualunque opera, edilizia e non, per cui meglio si presta al riferimento, del pari generico, alle altre cose immobili. In secondo luogo, e l’argomento è di indole letterale, mentre nel testo del 1865 il soggetto della seconda proposizione subordinata era l’edificio o altra opera notabile (“l’uno o l’altra”), nella frase che vi corrisponde nell’art. 1669 c.c., il soggetto diviene “l’opera”, nozione che rimanda al risultato cui è tenuto l’appaltatore (art. 1655 c.c.). E dunque qualsiasi opera su di un immobile destinato a lunga durata, a prescindere dal fatto che, ove di natura edilizia, essa consista o non in una nuova fabbrica. Ben si comprende, allora, che nell’ampliare il catalogo dei casi di danno rilevante ai sensi dell’art. 1669 c.c., l’aggiunta dei “gravi difetti” ha comportato per trascinamento l’estensione dell’area normativa della disposizione, includendovi qualsiasi opera immobiliare che (per traslato) sia di lunga durata e risulti viziata in grado severo per l’inadeguatezza del suolo o della costruzione. Ne è seguita, coerente nel suo impianto complessivo, l’interpretazione teleologica fornita dalla giurisprudenza, che è andata oltre l’originaria visione dell’art. 1669 c.c., come norma di protezione dell’incolumità pubblica, valorizzando la non meno avvertita esigenza che l’immobile possa essere goduto ed utilizzato in maniera conforme alla sua destinazione. Completano e confermano la validità di tale esito ermeneutico, l’irrazionalità (non conforme ad un’interpretazione costituzionalmente orientata) di un trattamento diverso tra fabbricazione iniziale e ristrutturazione edilizia, questa non diversamente da quella potendo essere foriera dei medesimi gravi pregiudizi; e la pertinente osservazione (v. la richiamata sentenza n. 22553/15) per cui costruire, nel suo significato corrente (oltre che etimologico) implica non l’edificare per la prima volta e dalle fondamenta, ma l’assemblare tra loro parti convenientemente disposte (cum struere, cioè ammassare insieme).

– applicazione della garanzia non solo alle nuove edificazioni ma anche agli interventi di ristrutturazione

Cassazione civile sez. un. 27.03.2017 n. 7756, principio di diritto: l’art. 1669 c.c., è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo”

– concetto di gravi difetti di costruzione ai fini della garanzia decennale: anche su elementi secondari ed accessori, purchè compromettano significativamente funzionalità e godimento

Cassazione civile sez. un. 27.03.2017 n. 7756, dalla motivazione: Si è ritenuto, infatti, che sono gravi difetti dell’opera, rilevanti ai fini dell’art. 1669 c.c., anche quelli che riguardano elementi secondari ed accessori (come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi ecc.) purchè tali da compromettere la funzionalità globale dell’opera stessa e che, senza richiedere opere di manutenzione straordinaria, possono essere eliminati solo con interventi di manutenzione ordinaria ai sensi della L. n. 457 del 1978, art. 31, e cioè con “opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici” o con “opere necessarie per integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti” (sentenze nn. 1164/95 e 14449/99; in senso del tutto analogo e con riferimento a carenze costruttive anche di singole unità immobiliari, v. n. 8140/04, che ha ritenuto costituire grave difetto lo scollamento e la rottura, in misura percentuale notevole rispetto alla superficie rivestita, delle mattonelle del pavimento dei singoli appartamenti; da premesse conformi procedono le nn. 11740/03, 81/00, 456/99, 3301/96 e 1256/95; di un apprezzabile danno alla funzione economica o di una sensibile menomazione della normale possibilità di godimento dell’immobile, in relazione all’utilità cui l’opera è destinata, parlano le sentenze nn. 1393/98, 1154/02, 7992/97, 5103/95, 1081/95, 3644/89, 6619/88, 6229/83, 2523/81, 1178/80, 839/80, 1472/75 e 1394/69). Esemplificando, sono stati inquadrati nell’ambito della norma in oggetto i gravi difetti riguardanti: la pavimentazione interna ed esterna di una rampa di scala e di un muro di recinzione (sentenza n. 2238/12); opere di pavimentazione e di impiantistica (n. 1608/00); infiltrazioni d’acqua, umidità nelle murature e in generale problemi rilevanti d’impermeabilizzazione (nn. 84/13, 21351/05, 117/00, 4692/99, 2260/98, 2775/97, 3301/96, 10218/94, 13112/92, 9081/92, 9082/91, 2431/86, 1427/84, 6741/83, 2858/83, 3971/81, 3482/81, 6298/80, 4356/80, 206/79, 2321/77, 1606/76 e 1622/72); un ascensore panoramico esterno ad un edificio (n. 20307/11); l’inefficienza di un impianto idrico (n. 3752/07); l’inadeguatezza recettiva d’una fossa biologica (n. 13106/95); l’impianto centralizzato di riscaldamento (nn. 5002/94, 7924/92, 5252/86 e 2763/84); il crollo o il disfacimento degli intonaci esterni dell’edificio (nn. 6585/86, 4369/82 e 3002/81, 1426/76); il collegamento diretto degli scarichi di acque bianche e dei pluviali discendenti con la condotta fognaria (n. 5147/87); infiltrazioni di acque luride (n. 2070/78).

Cassazione civile sez. II 01.08,2003 n.11740, dalla motivazione: Il difetto di costruzione che, a norma dell’art. 1669 CC legittima il committente all’azione di responsabilità extracontrattuale nei confronti dell’appaltatore può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la “rovina” od il “pericolo di rovina”), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata (quali, ad esempio, le condutture d’adduzione idrica, i rivestimenti, l’impianto di riscaldamento, la canna fumaria), incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell’immobile medesimo. La corte territoriale, in corretta applicazione di tale principio pacifico in giurisprudenza e dottrina, ha ritenuto accertato in fatto che il vizio dei materiali, tradottosi in una difettosa impermeabilizzazione del manto di copertura dell’edificio estesa e produttiva di infiltrazioni, avesse compromesso la funzionalità globale dell’opera, in conformità ai precedenti per i quali i difetti di realizzazione della copertura dell’edificio, ove tale da determinare infiltrazioni e, quindi, una limitazione nel godimento e nell’utilizzazione di esso, sono da considerare vizi riconducibili alla fattispecie prevista e regolata dall’art. 1669 CC (e pluribus, Cass 8.12.00 n. 117, 28.3.97 n. 2775, 10.4.96 n. 3301, 29.11.94 n. 10218, 11.12.92 n. 13112, 24.8.91 n. 9082).

Cassazione civile sez. II 04.09.2019 n. 22093, dalla motivazione: è poi noto come il vigente art. 1669 c.c., al pari del corrispondente art. 1639, dell’abrogato codice civile del 1865, configuri una responsabilità extracontrattuale sancita dalla legge al fine di promuovere la stabilità e solidità degli edifici, nonchè delle altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, e al fine di tutelare in tal modo l’incolumità personale. Peraltro, l’art. 1669 c.c., ha ampliato la portata del suo predecessore art. 1639, avendo incluso tra i difetti, di cui il costruttore è tenuto a rispondere, nel termine in esso indicato, anche quelli che, pur non compromettendo la stabilità, totale o parziale, dell’edificio, possano essere, comunque, qualificati “gravi”. In ogni modo, la gravità di un difetto, agli effetti dell’art. 1669 c.c., è correlata alle conseguenze che da esso siano derivate o possano derivare, e non dipende, pertanto, dalla sua isolata consistenza obiettiva, nè è perciò esclusa ex se dalla modesta entità, in rapporto all’intera costruzione, del singolo elemento che ne sia affetto. Questa Corte ha così costantemente spiegato che configurano gravi difetti dell’edificio, a norma dell’art. 1669 c.c., anche le carenze costruttive dell’opera che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o la funzionalità e/o l’abitabilità della medesima, come allorchè la realizzazione è avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d’arte ed anche se incidenti su elementi secondari ed accessori dell’opera (nella specie, trattandosi di difetti costruttivi nella tamponatura delle pareti esterne dell’edificio in condominio, causa di una riduzione del 50% della resistenza termica), purchè tali da incidere negativamente ed in modo considerevole sul suo godimento e da comprometterne la normale utilità in relazione alla sua destinazione economica e pratica, e per questo eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorchè ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici (Cass. Sez. U, 27/03/2017, n. 7756; Cass. Sez. 2, 09/09/2013, n. 20644; Cass. Sez. 2, 03/01/2013, n. 84; Cass. Sez. 2, 04/10/2011, n. 20307; Cass. Sez. 2, 15/09/2009, n. 19868). Peraltro, l’indagine volta a stabilire se i difetti costruttivi ricadano nella disciplina dell’art. 1669 c.c., ovvero in quella posta dagli artt. 1667 e 1668 c.c., in tema di garanzia per le difformità e i vizi dell’opera, rientra nei compiti propri del giudice del merito, coinvolgendo l’accertamento e la valutazione degli elementi di fatto del caso concreto. Al giudice di merito spetta, quindi, di stabilire se le acquisizioni processuali sono sufficienti a formulare compiutamente il giudizio finale sulle caratteristiche dei difetti, dovendo egli accertare anche se, pur afferendo ad elementi secondari ed accessori, essi siano tali da incidere negativamente, pregiudicandoli in modo considerevole nel tempo, sulla funzionalità e sul godimento dell’immobile. Questo accertamento di merito è sottratto al sindacato di legittimità se, come nel caso in esame, adeguatamente motivato (Cass. Sez. 2, 26/04/2005 n. 8577; Cass. Sez. 2, 21/04/1994, n. 3794)

Cassazione civile sez. II 04.03.2024 n.5648: dalla motivazione: nel caso di specie, il giudice d’appello, con motivazione congrua e immune da vizi logici, ha ritenuto che non costituisca grave difetto né l’imperfetta modellazione del giardino, il cui ripristino comporta una spesa modesta pari a Euro 2.000,00, né l’insufficiente coibentazione dei tubi di riscaldamento, in quanto dall’accertamento peritale svolto non risulta che la coibentazione inadeguata riduca l’efficienza dell’impianto di riscaldamento. In altre parole, la Corte di Milano ha escluso che i lamentati vizi incidano negativamente sul godimento dell’immobile;

Cassazione civile sez. II, 13.12.2021 n. 39599, dalla motivazione: Nel caso di specie, il giudice di merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, ha ritenuto che i difetti non pregiudicassero il godimento degli impianti di condizionamento perché non incidevano sulla loro capacità di refrigerare e riscaldare, sia pur a capacità ridotta e con maggiore dispendio energetico.

– natura extracontrattuale della garanzia decennale

Cassazione civile sez. un. 27.03.2017 n. 7756, dalla motivazione: la natura extracontrattuale della responsabilità ex art. 1669 c.c. – con carattere di specialità rispetto alla previsione generale dell’art. 2043 c.c. – (è) costantemente affermata dalla giurisprudenza (tanto che Cass. nn. 4035/17 e 1674/12 hanno escluso che la relativa controversia possa rientrare nell’ambito della clausola che si limiti a compromettere in arbitri le liti nascenti da un contratto d’appalto). Tutt’altro che monolitica, invece, è al riguardo la dottrina. Ammessa anche dalle sentenze nn. 24143/07 e 10658/15, che come detto escludono l’applicazione dell’art. 1669 c.c., alle ipotesi di riparazioni o modificazioni, la tesi della natura extracontrattuale di detta responsabilità; qualificata come ex lege (cfr. Cass. n. 261/70 e il brano della relazione al c.c. del 1942 riportato supra al paragrafo 5) e prevista per ragioni di ordine pubblico e di tutela dell’incolumità personale dei cittadini, quindi, inderogabile e irrinunciabile (v. Cass. n. 81/00), ha anch’essa origini remote, essendo stata altrettanto costantemente affermata dalla giurisprudenza sotto l’impero del c.c. del 1865 a partire dagli anni venti del XX secolo. Ciò allo scopo di riconoscere l’azione risarcitoria anche agli acquirenti del costruttore-venditore, essendo invalsa già in allora, con lo sviluppo delle attività edilizie, l’unificazione delle due figure.la categoria dei gravi difetti tende a spostare il baricentro dell’art. 1669 c.c., dall’incolumità dei terzi alla compromissione del godimento normale del bene, e dunque da un’ottica pubblicistica ed aquiliana ad una privatistica e contrattuale. Oltre a ciò, va considerata la maggior importanza che sul tema della tutela dei terzi ha assunto, invece, l’esperienza dell’appalto pubblico; l’espresso riconoscimento dell’azione anche agli aventi causa del committente (i quali possono agire anche contro il costruttore-venditore: fra le tante, v. Cass. nn. 467/14, 9370/13 e 2238/12 e 4622/02), il che ha privato del suo principale oggetto la teoria della responsabilità extracontrattuale ex art. 1669 c.c.; i più recenti approdi della dottrina sull’efficacia ultra partes del contratto; e – da ultima, ma non ultima – la possibilità che tale efficacia operi in favore dei terzi nei casi previsti dalla legge (art. 1372 cpv. c.c.). Tutto ciò rende ormai meno attuale il tema della natura extracontrattuale della responsabilità di cui all’art. 1669 c.c., che se non ha esaurito la propria funzione storica (per difetto di rilevanza non è questa la sede per appurarlo), di sicuro ha perso l’originaria centralità che aveva nell’interpretazione della norma.

– natura extracontrattuale della garanzia decennale, legittimazione passiva anche del costruttore venditore, pure in mancanza di un contratto di appalto, e legittimazione attiva anche dei successivi acquirenti

Cassazione civile sez. II 22.12.2022 n. 37545, dalla motivazione: costituisce principio consolidato di diritto che la responsabilità extracontrattuale è sancita per ragioni e finalità di interesse generale e deve perciò ritenersi applicabile non soltanto ai rapporti tra committente e appaltatore, ma anche a quelli tra l’acquirente ed il costruttore/venditore, pur in mancanza, tra essi, di un formale contratto d’appalto, con la conseguenza che il predetto costruttore non può ritenersi sollevato dalla responsabilità verso l’acquirente per i gravi difetti, a norma dell’art. 1669 c.c., qualora l’opera sia stata eseguita (in tutto o in parte), su suo incarico o da un terzo, ma sotto la sua responsabilità (Sez. 2, Sentenza n. 20877 del 30/09/2020).

Cassazione civile sez. II 05.06.2014 n. 12675, dalla motivazione: il ricorso sostiene che la responsabilità dell’appaltatore debba essere estesa al soggetto proprietario che sia ritenuto costruttore. Ciò si verificherebbe allorquando il committente, pur avendo appaltato a terzi l’esecuzione dell’opera, abbia conservato il potere di impartire direttive ovvero il potere di sorveglianza sullo svolgimento dell’altrui attività, di guisa che l’opera, come precisa il quesito di diritto, sia a lui riferibile. La censura principale è fondata. Di recente questa sezione (cfr Cass. 467/2014; 632/14) ha avuto modo di ripensare la materia in esame e ha osservato quanto si riporta: “… nel frastagliato quadro giurisprudenziale in materia si rinvengono sentenze che hanno ripetuto che il committente risponde ex art. 1669 c.c. qualora abbia provveduto alla costruzione dell’immobile con propria gestione diretta, ovvero sorvegliando personalmente l’esecuzione dell’opera, si da rendere l’appaltatore un mero esecutore dei suoi ordini (cfr Cass., 1^ sezione, 13158/02). Il Collegio respinge questa nozione e ritiene preferibile l’orientamento contrario. Esso muove dalla premessa (felicemente sintetizzata da Cass. 2^ sez., 4622/02, v. anche Cass. 8109/97) che: La denuncia di gravi difetti di costruzione, oltre che dal committente e suoi aventi causa, può essere fatta anche dagli acquirenti dell’immobile, in base al principio che le disposizioni di cui all’art. 1669 cod. civ. mirano a disciplinare le conseguenze dannose di quei difetti che incidono profondamente sugli elementi essenziali dell’opera e che influiscono sulla durata e solidità della stessa, compromettendone la conservazione e configurano, quindi, una responsabilità extracontrattuale, sancita per ragioni e finalità di interesse generale, con la conseguenza che la relativa azione, nonostante la collocazione della norma tra quelle in materia di appalto, è data non solo al committente e suoi aventi causa nei confronti dell’appaltatore, ma anche all’acquirente nei confronti del costruttore venditore. Perviene poi all’affermazione che il venditore può essere chiamato a rispondere dei gravi difetti dell’opera non soltanto quando i lavori siano eseguiti in economia, ma anche nell’ipotesi in cui la realizzazione dell’opera è affidata a un terzo al quale non sia stata lasciata completa autonomia tecnica e decisionale, in quanto il venditore abbia mantenuto il potere di impartire direttive o di sorveglianza sullo svolgimento dell’altrui attività, sicchè anche in tali casi la costruzione dell’opera è a lui riferibile (Cass. 567/05; 2238/12). Giunge infine a sancire condivisibilmente che l’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall’art. 1669 cod. civ., può essere esercitata anche dall’acquirente nei confronti del venditore che risulti fornito della competenza tecnica per dare direttamente, o tramite il proprio direttore dei lavori, indicazioni specifiche all’appaltatore esecutore dell’opera”. … Le sentenze del 2014 dianzi citate hanno aggiunto che: “Questa linea ermeneutica è coerente con la teoria che ha ricondotto l’art. 1669 c.c. nell’alveo della responsabilità extracontrattuale, al fine di consentire ai danneggiati da gravi difetti (rovina) dell’edificio, una tutela non minore, ma anzi, come vuole il legislatore, rafforzata rispetto a quella che sarebbe loro offerta dall’art. 2043 c.c.. Se così non fosse, i danneggiati si troverebbero paradossalmente preclusa la strada risarcitoria generica proprio da una norma che è stata invece dettata per ampliare gli spazi di tutela”. Quest’ultima affermazione è stata ribadita, ancor più recentemente, dalle Sezioni Unite, (SU 2284/14), le quali hanno precisato che la previsione dell’art. 1669 c.c., concreta un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, con carattere di specialità rispetto al disposto dell’art. 2043 c.c., fermo restando che – trattandosi di una norma non di favore, diretta a limitare la responsabilità del costruttore, bensì finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale – ove non ricorrano in concreto le condizioni per la sua applicazione (come nel caso di danno manifestatosi e prodottosi oltre il decennio dal compimento dell’opera) può farsi luogo all’applicazione dell’art. 2043 c.c., senza che, tuttavia, (in questo secondo caso) operi il regime speciale di presunzione della responsabilità del costruttore contemplato dall’art. 1669 c.c., atteso che spetta a chi agisce in giudizio l’onere di provare tutti gli elementi richiesti dall’art. 2043 c.c., compresa la colpa del costruttore. … In coerenza e a precisazione di quanto stabilito da Cass. 632/14 va ora ulteriormente chiarito un ulteriore passaggio ordinatore, volto ad ampliare i margini di applicabilità della tutela ex art. 1669 c.c.. E’ convinzione della Corte che la responsabilità sancita da detta norma sia applicabile al committente-venditore che abbia avuto una qualche ingerenza, sorveglianza o influenza nella realizzazione dell’opera, come può avvenire, esemplificativamente, quando egli nomini il direttore dei lavori o designi il progettista dalla cui negligenza dipenda, sia pure in concorso con l’appaltatore, il vizio lamentato. E’ ovvio che l’aver impartito direttive specifiche per l’esecuzione di una parte dell’opera, poi risultata viziata, la renda per questa parte riferibile al committente. Tuttavia va anche considerato che proprio questa attività di interferenza o di controllo, così come quella di progettazione, documentano in generale il coinvolgimento del venditore committente e la sua corresponsabilità, salvo che, in ipotesi limite, sia dimostrata la incolpevole estraneità. Che la sottrazione alla corresponsabilità sia limitata a rari casi, si desume anche dalla considerazione che non può negarsi che il controllo esercitato dal committente tramite il direttore dei lavori sia tale da ricondurre, di regola, anche a omissioni di quest’ultimo (per mancati controlli, trascuratezze, etc.) il verificarsi di danni, rovina o malfunzionamenti derivati dall’esecuzione dell’opera affidata all’appaltatore. Il committente in tutte queste ipotesi risponde quindi verso il terzo acquirente della rovina o dei gravi difetti che sono in qualche modo anche a lui riferibili.

– natura extracontrattuale della garanzia decennale e possibile concorso con la responsabilità dei tecnici (progettista, d.l.), sul piano sostanziale

Cassazione civile sez. II 01.08.2023 n. 23470, dalla motivazione: (è) costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 18289 del 2020; Cass. n. 29218 del 2017; Cass. 17874 del 2013) secondo cui, in materia di appalto privato, l’appaltatore è responsabile ex art. 1669 c.c., verso il committente insieme al progettista ed al direttore dei lavori, allorché l’opera presenti gravi difetti dipendenti da errata progettazione, trovando ciò fondamento nel principio di cui all’art. 2055 c.c., il quale, dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale, a nulla rilevando in contrario la natura e la diversità dei contratti cui si ricollega la responsabilità. Infatti, tali soggetti, quando con le proprie condotte attive od omissive commettono autonomi e distinti illeciti o violazioni di norme giuridiche diverse, concorrenti in modo efficiente a produrre uno degli eventi tipici indicati nel medesimo art. 1669, rispondono tutti dell’unico illecito extracontrattuale risentito dal committente e a detto titolo (cfr. Cass. n. 8016 del 2012). L’art. 1669 c.c. configura, infatti, una responsabilità di tipo aquiliano, nella stessa possono concorrere tutti quei soggetti, che prestando la loro professionalità nella realizzazione dell’opera, hanno comunque contribuito, per colpa, alla determinazione dell’evento dannoso costituito dall’insorgenza dei vizi (tra le altre, Cass. 19868 del 2009; Cass. 3406 del 2006).

Cassazione civile sez. II 05.10.2022 n. 28947, dalla motivazione: La statuizione del giudice distrettuale ha fatto buon governo del costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 18289 del 2020; Cass. n. 29218 del 2017; Cass. n. 17874 del 2013) secondo cui, in materia di appalto privato, il progettista è responsabile ex art. 1669 c.c., verso il committente insieme all’appaltatore ed al direttore dei lavori, allorché l’opera presenti gravi difetti dipendenti da errata progettazione, trovando ciò fondamento nel principio di cui all’art. 2055 c.c., il quale, dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale, a nulla rilevando in contrario la natura e la diversità dei contratti cui si ricollega la responsabilità. Infatti, tali soggetti, quando con le proprie condotte attive od omissive commettono autonomi e distinti illeciti o violazioni di norme giuridiche diverse, concorrenti in modo efficiente a produrre uno degli eventi tipici indicati nel medesimo art. 1669 c.c., rispondono tutti dell’unico illecito extracontrattuale risentito dal committente e a detto titolo (cfr. Cass. n. 8016 del 2012). In altre parole, configurando l’art. 1669 c.c., una responsabilità di tipo aquiliano, nella stessa possono incorrere, a titolo di concorso con l’appaltatore/costruttore del fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, anche tutti quei soggetti, che prestando la loro professionalità nella realizzazione dell’opera, hanno comunque contribuito, per colpa, alla determinazione dell’evento dannoso costituito dall’insorgenza dei vizi in questione (cfr., tra le altre, Cass. n. 19868 del 2009; Cass. n. 3406 del 2006; Cass. n. 13158 del 2002; Cass. n. 4900 del 1993). Ne’ la circostanza che il direttore dei lavori fosse, al pari del progettista strutturale, a conoscenza del contenuto della relazione geologica può elidere la responsabilità del secondo al quale per primo spetta l’obbligo di diligenza nel predisporre progetti secondo la migliore tecnica e sicurezza. Del resto il progettista, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere indotto ad eseguirle quale “nudus minister”, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. Siffatta affermazione, seppur resa dalla giurisprudenza per quanto attiene alla posizione dell’appaltatore (cfr. Cass. n. 23594 del 2017 e Cass. n. 8016 del 2012), a maggior ragione trova applicazione per il progettista strutturale, il quale è tenuto ad offrire progetti quantomai consoni alla situazione del terreno;

– natura extracontrattuale della garanzia decennale e possibile concorso con quella dei tecnici, su piano processuale

Cassazione civile sez. II 26.09.2016 n. 18831, dalla motivazione: La Corte d’appello si è attenuta all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui l’appaltatore e il progettista o direttore dei lavori, convenuti in solido per il risarcimento del danno prodotto da rovina e difetti di cose immobili, rivestono posizioni indipendenti. L’ipotesi di responsabilità regolata dall’art. 1669 c.c. ha natura extracontrattuale e conseguentemente nella stessa possono incorrere, a titolo di concorso con l’appaltatore che abbia costruito un fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell’opera, abbiano contribuito, per colpa professionale (segnatamente il progettista e/o il direttore dei lavori), alla determinazione dell’evento dannoso. Sul piano processuale la situazione indicata dà luogo a rapporti distinti, tecnicamente a cause scindibili, che rimangono tali anche se trattate congiuntamente, e all’interesse sostanziale di ciascuna parte corrisponde, nè potrebbe essere altrimenti, un interesse autonomo alla impugnazione, sicchè il termine per proporla non può essere unitario, ma decorre dalla data delle singole notificazioni a ciascuno dei titolari dei diversi rapporti definiti con l’unica sentenza (ex plurimis, Cass., sez. 3, sentenza n. 239 del 2008).

– decorrenza dei termini per la denuncia

Cassazione civile sez. II 18.10.2023 n. 28958, dalla motivazione: La Corte viene oggi chiamata a stabilire quando deve intendersi verificata la scoperta dei vizi, a cui ancorare la relativa denunzia, che a sua volta, costituisce il dies a quo del termine annuale di prescrizione. La questione non è nuova, perché nella giurisprudenza di legittimità trovasi ripetutamente affermato il principio secondo cui la scoperta dei vizi si intende verificata quando il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza obiettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera, non essendo sufficiente, di regola, per il decorso del termine suddetto, la constatazione di segni esteriori di danno o di pericolo (cfr. tra le tante, Sez. 2 -, Ordinanza n. 13707 del 18/05/2023 Rv. 667805; Sez. 2 -, Ordinanza n. 777 del 16/01/2020 Rv. 656833; Sez. 2 -, Ordinanza n. 24486 del 17/10/2017 Rv. 645800; Sez. 2, Sentenza n. 4622 del 29/03/2002 Rv. 553388; nello stesso senso v. anche Sez. 2, Sentenza n. 11034 del 2022 non massimata ove viene ribadito che, non potendosi onerare il danneggiato di proporre senza la dovuta prudenza azioni generiche a carattere esplorativo o comunque suscettibili di rivelarsi infondate, la conoscenza completa, idonea a determinare il decorso del doppio termine, dovrà ritenersi conseguita, in assenza di convincenti elementi contrari anteriori da dedursi e provarsi dall’appaltatore, solo all’atto dell’acquisizione di idonei accertamenti tecnici).

– riconoscimento dei vizi e impegno a rimediarvi

Cassazione civile sez. III 20.04.2012 n. 6263, dalla motivazione: è da rilevarsi che è principio enunciato dalla giurisprudenza della Corte di legittimità quello per cui un tale riconoscimento, da parte dell’appaltatore, oltre a rendere superflua la tempestiva denuncia da parte del committente comporta l’assunzione di una nuova obbligazione, sempre di garanzia, diversa da quella originaria, svincolata dai termini di decadenza e soggetta al solo termine prescrizionale ordinario (Cass. 10.9.2009 n. 19560; Cass. 16.12.2004 n. 23461; Cass. 27.4.2004 n. 8026; v. anche Cass. 29.9.2009 n. 20853). 5.1. Ritiene questo Collegio che un tale risultato – con la soggezione al solo termine prescrizionale ordinario – possa essere perseguito anche senza ricorrere all’artificio giuridico della novazione della originaria obbligazione di garanzia dando seguito, anche in materia di appalto, alla giurisprudenza di questa Corte enunciata da Cass. 14.1.2011 n. 747 in materia di compravendita. Con quest’ultima pronuncia la Corte ha ritenuto che il principio di diritto enunciato, in tema di compravendita da S.U. 21.6.2005 n. 13294, – per il quale l’impegno del debitore di eliminare i vizi che rendano il bene inidoneo all’uso cui è destinato (ovvero che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore economico) di per sè non da vita ad una nuova obbligazione estintiva – sostitutiva dell’originaria obbligazione di garanzia, ma consente al compratore di non soggiacere ai termini di decadenza ed alle condizioni di cui all’art. 1495 c.c. – in ipotesi di domanda di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo sia predicabile anche qualora il compratore agisca per l’esatto adempimento dell’obbligo di riparazione o sostituzione della res. In questo caso, l’assunzione spontanea da parte del debitore, sulla base del riconoscimento dell’esistenza dei vizi, non determina un effetto novativo dell’obbligazione originaria e la prescrizione – venuta meno la regola eccezionale dell’art. 1495 c.c. – decorre secondo l’ordinario termine decennale di cui all’art. 2946 c.c..

Cassazione civile sez. II 18.12.2015 n. 25541, dalla motivazione: in tema di appalto (o di contratto d’opera), l’impegno ad eliminare i vizi della cosa o dell’opera, assunto dall’appaltatore (o dal prestatore), alla stregua di principi generali non dipendenti dalla natura del singolo contratto, costituisce fonte di un’autonoma obbligazione di facere, la quale si affianca all’originaria obbligazione di garanzia, senza estinguerla, a meno di uno specifico accordo novativo, e rimane, pertanto, soggetto non ai termini di prescrizione e decadenza stabiliti per quella garanzia, ma all’ordinario termine di prescrizione decennale fissato per l’inadempimento contrattuale (Cass. civ., Sez. seconda, Sent. 30 maggio 2013, n. 13613). Da ciò consegue che, in assenza di un espresso accordo novativo, non si verifica un fenomeno estintivo-sostitutivo, bensì si assiste al sorgere di una nuova obbligazione, svincolata dai termini di decadenza e di prescrizione di cui all’art. 1667 c.c., che si aggiunge a quella originaria di garanzia (Sez. 2, Sentenza n. 8026 del 27/04/2004; Sez. 2, Sentenza n. 10364 del 22/10/1997; Sez. 2, Sentenza n. 7495 del 07/07/1995). Tanto è vero che il semplice riconoscimento dei vizi e delle difformità dell’opera da parte dell’appaltatore implica la superfluità della tempestiva denuncia da parte del committente, ma da esso non deriva automaticamente, in mancanza di un impegno in tal senso, l’assunzione in capo all’appaltatore dell’obbligo di emendare l’opera, che, ove configurabile, è una nuova e distinta obbligazione soggetta al termine di prescrizione decennale; ne deriva che il predetto riconoscimento non impedisce il decorso dei termini brevi della prescrizione previsti in tema di appalto (Cass. civ., Sez. seconda, Sent. 21 luglio 2005). Ulteriore corollario di questa impostazione è che le sorti delle due obbligazioni, per quanto parallele, non si intersecano l’un con l’altra. Pertanto, la intervenuta decadenza dal potere di denunciare i difetti delle opere appaltate, se, da un lato, fa venir meno, in presenza di un’apposita eccezione, l’obbligazione di garanzia, dall’altro lato, non preclude l’assunzione della descritta nuova obbligazione anche una volta che è decorso il termine per operare la denuncia.

– contenuto della garanzia

Cassazione civile sez. II 04.03.2016 n. 4319, dalla motivazione: Il principio correttamente messo dalla Corte di merito a base del suo ragionamento, circa la quantificazione dei danni dovuti ex art. 1669 c.c. dalla *, è quello secondo cui l’ambito della relativa responsabilità, posta da tale norma a carico dell’appaltatore per rovina o difetti della costruzione, in mancanza di limitazioni legali, deve ritenersi coincidere con quello generale della responsabilità extracontrattuale, e, come tale, comprensivo di tutte le spese necessarie per eliminare, definitivamente e radicalmente, i difetti medesimi, anche mediante la realizzazione di opere diverse e più onerose di quelle originariamente progettate nel contratto d’appalto, purchè utili a che l’opera possa fornire la normale utilità propria della sua destinazione (cfr. Cass. 27 aprile 1989, n. 1948), dovendosi la liquidazione dei danni ispirare ai criteri dettati in materia dagli artt. 2056, 1223, 1226 e 1227 c.c., danni nella specie coincidenti con i costi dei lavori sostenuti dall’ * in esecuzione dell’ordine d’urgenza reso dal Pretore di Roma, per il complessivo importo di Euro 1.781.882,68. Compete al giudice del merito, d’altra parte, avvalendosi al riguardo dei suoi poteri di libero apprezzamento delle prove, determinare, sulla base dei criteri dettati dagli artt. 2056 e 1223 c.c. e segg., l’effettiva consistenza del pregiudizio risentito dal danneggiato e l’individuazione del rapporto causale immediato e diretto fra illecito e danno, in modo da limitare l’estensione temporale e spaziale degli effetti degli eventi illeciti, al fine di escludere dalla connessione giuridicamente rilevante ogni conseguenza della accertata responsabilità che non sia propriamente diretta ed immediata.