CONDOMINIO – Cassazione Civile sez. II, 22.04.25 n. 10473 – La modificazione della cosa comune che non assume rilievo di innovazione e risponde allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo.

corte cassazione

Foto di <a href="https://pixabay.com/it/users/maxsanna-3804360/?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=3772744">massimo sanna</a> da <a href="https://pixabay.com/it//?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=3772744">Pixabay</a>

image_print

Il Codice Civile nel prevedere le competenze dell’Assemblea (all’art. 1135) menziona le opere di manutenzione straordinaria e le innovazioni nello stesso punto (il n. 4; ove si stabilisce che in entrambi i casi è obbligatoria, con la delibera, la costituzione del fondo speciale).

La disciplina delle innovazioni (artt. 1120 e ss.) ne delimita l’ambito, stabilendo quando sono ammissibili e quando sono vietate; e pone dei distinguo, con regole apposite per le innovazioni c.d. agevolate, e per le innovazioni gravose o voluttuarie.

Sono ammissibili solo le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni (art. 1120 comma I), e sono vietate quelle che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino (art. 1120 comma II).

Le innovazioni c.d. agevolate (art. 1120 commi II e IV) sono quelle per la cui approvazione non occorre la maggioranza ex art. 1136 comma V, ossia due terzi del valore, ma basta quella ex art. 1136 comma II, ossia metà del valore; hanno per oggetto 1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti; 2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per il contenimento del consumo energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell’edificio, nonchè per la produzione di energia mediante l’utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune; 3) l’installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze, ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto.

Relativamente poi alle innovazioni gravose o voluttuarie, o più precisamente qualora l’innovazione importi una spesa molto gravosa o abbia carattere voluttuario rispetto alle particolari condizioni e all’importanza dell’edificio (art. 1121 c.c.), le regole sono diverse a seconda che consistano o meno in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata: nel primo caso (ossia l’utilizzazione separata è possibile), i condomini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo nella spesa, e possono tuttavia, in qualunque tempo, partecipare ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera; nel secondo caso (ossia l’utilizzazione separata non è possibile), l’innovazione non è consentita, salvo che la maggioranza dei condomini che l’ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa.

Tornando alla distinzione tra le opere di manutenzione straordinaria e le innovazioni, va premesso che tanto nel capo sulla comunione (artt. 1100-1116) quanto in quello sul condominio (artt. 1117-1139) si assumono per assodati i due concetti, di cui quindi non viene data una definizione.

Avendo a mente il significato delle parole nel linguaggio comune viene immediato distinguere tra manutenzioni e innovazioni a seconda che le opere comportino o meno una modifica: se la parte o l’impianto comune, all’esito dell’intervento, sia esso di riparazione ovvero anche di sostituzione, resta inalterato, si tratta di manutenzione; diversamente, sarebbe sempre innovazione.

Non è però così.

Nel caso deciso della Suprema Corte si faceva questione del rifacimento delle rampe delle scale tra il seminterrato e il secondo piano dell’edificio, operato non mantenendone la stessa tipologia ma realizzando al suo posto una scala lineare più comoda, conforme alle normative.

Era stato eccepito, in particolare, il difetto della maggioranza richiesta per le innovazioni, e la natura gravosa e voluttuaria dell’intervento.

I giudici di merito avevano respinto le suddette eccezioni, non ravvisando nel caso di specie una innovazione.

Gli Ermellini hanno ritenuto corretta una tale decisione, in quanto conforme alla giurisprudenza di legittimità la quale ha affermato che “costituisce innovazione ex 1120 c.c. non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l’entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite, una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l’esecuzione delle opere. Ove invece la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo ma risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell’ambito dell’art. 1102 c.c., che, pur dettato in materia di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell’art. 1139 c.c.” (Cass. n. 240 del 1997; Cass. n. 2940 del 1963). “In sostanza, perché possa aversi innovazione è necessaria l’esecuzione di opere che, incidendo sull’essenza della cosa comune, ne alterino l’originaria funzione e destinazione. Inoltre, proprio perché oggetto di una delibera assembleare, l’esecuzione di opere, per integrare una innovazione, deve essere rivolta a consentire una diversa utilizzazione delle cose comuni da parte di tutti i condòmini” (Cass. n. 945 del 2013).

Si tratta di principi effettivamente consolidati, anche se, a ben vedere, non propriamente coincidenti (l’ultima pronuncia considera dirimente la alterazione della originaria funzione della destinazione, rivolta a consentire una diversa utilizzazione; le prime sembrano invece dare rilievo alla trasformazione, con riguardo alla materialità e/o alla destinazione) e comunque di applicazione pratica opinabile (l’utilizzo per fini diversi si comprende; ma quando si ha alterazione della entità materiale e diversità della consistenza materiale?), che lascia molta discrezionalità al Giudicante.

* * *

Civile Sent. Sez. 2 Num. 10473 Anno 2025
Presidente: ORILIA LORENZO
Relatore: MONDINI ANTONIO
Data pubblicazione: 22/04/2025

(omissis)

IN FATTO
Premesso che:

1. M*, proprietario di uno dei cinque appartamenti del Condominio *, in Cortina d’Ampezzo, impugnava la delibera assunta dall’assemblea del Condominio in data 31 marzo 2012 con cui era stato deciso il rifacimento delle rampe delle scale tra il seminterrato e il secondo piano dell’edificio.
Il Tribunale di Belluno rigettava l’impugnazione.
La Corte di Appello di Venezia, con sentenza n.2774/2019, ha confermato la decisione del Tribunale rimarcando che, contrariamente a quanto sostenuto dal M*, il rifacimento della scale non era qualificabile come “innovazione” essendo invece una mera “ristrutturazione diretta a rendere più comodo il godimento della cosa comune”, che la delibera era stata validamente assunta con la maggioranza di cui all’art. 1136 c.c. anche “in relazione a ciascun condominio parziale”, che la spesa per il rifacimento delle scale non poteva essere ritenuta eccessivamente gravosa o voluttuaria in considerazione del costo stimato dal CTU rapportato al valore dell’immobile, che la tesi dell’appellante per cui il rifacimento della scala gli avrebbe impedito di godere dell’immobile non era dimostrata né avrebbe potuto esserlo mediante la richiesta di una consulenza tecnica esplorativa;

2. il M* ricorre per la cassazione della sentenza della Corte di Appello con tre motivi avversati dal Condominio con controricorso;

3. il ricorrente e il controricorrente hanno depositato memoria;

IN DIRITTO
considerato che:
1. con il primo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c. la violazione o falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., 1108 e 1139 c.c., 2697 c.c. “per non avere la Corte di Appello valutato l’eccessiva gravosità delle spese deliberate, la lesione del diritto di proprietà del signor M* ed il pieno assolvimento da parte di quest’ultimo dell’onere probatorio sul medesimo incombente”. Il ricorrente deduce che il rifacimento delle scale gli impedirebbe di utilizzare per vari mesi l’immobile, sua unica abitazione. Afferma che la scala è “l’unico accesso all’immobile”, che il condominio non ha ascensore e che “il progetto dei lavori voluto dal Condominio non prevede una soluzione che consenta medio tempore di accedere alla abitazione”;
Il motivo è infondato.
Non sussiste violazione dell’art. 112 c.p.c. posto che, al contrario di quanto affermato dal ricorrente, la Corte di Appello non ha omesso di pronunciarsi sull’eccessiva gravosità delle spese deliberate né sulla lesione del diritto di proprietà del ricorrente. Ha invece espressamente affermato che le spese non erano eccessivamente gravose avuto riguardo all’ “entità ricadente sul condomino dissenziente” e al valore complessivo dell’immobile (pagina 13 della sentenza). Né la Corte di Appello ha trascurato di pronunciarsi sulla eccezione del ricorrente secondo cui egli, in caso di rifacimento delle scale, sarebbe stato impossibilitato ad utilizzare per vari mesi l’appartamento. La Corte di Appello ha affermato che tale impossibilità non solo non era stata dimostrata ma non era stata neppure precisamente allegata essendosi il ricorrente limitato a chiedere una consulenza “sulla stima dei costi e disagi derivanti al nucleo familiare a seguito della esecuzione delle opere di rifacimento della scale di accesso alla propria unità residenziale”.
Le deduzioni del ricorrente – alle quali sono riconnesse le censure di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c.- per cui la scala è “l’unico accesso all’immobile”, il condominio non ha ascensore, “il progetto dei lavori voluto dal Condominio non prevede una soluzione che consenta medio tempore di accedere alla abitazione”, sono deduzioni in fatto non ammissibili di fronte a questa Corte di legittimità. Si ricorda che “In tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. può porsi solo se si alleghi che il giudice del merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione” (Cass. n.6744 del 01/03/2022). Nel caso di specie non vi sono allegazioni del genere;
2. con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, c.p.c. la violazione o falsa applicazione degli artt.1120, 1136 c.c., 36 disp. att. c.c. “per non avere la Corte di Appello valutato la necessità, in caso di condomìni parziali, di convocazione, delibere e approvazioni separate e per non aver qualificato come innovazioni ex 1120 c.c. le opere di rifacimento delle scale e per non aver valutato il mancato raggiungimento del quorum di cui all’art. 1136, comma 5 e comunque di cui ai commi 2 e 4 del medesimo articolo”. Il ricorrente deduce che la Corte di Appello, pur avendo affermato che le rampe di scale tra il piano terra e il primo piano e tra il primo piano e il secondo piano erano oggetto di condomìni parziali, ha ritenuto che la delibera di rifacimento delle scale fosse stata validamente adottata dalla assemblea del condominio nel suo complesso e con le maggioranze previste per le delibere sulle opere manutentive laddove invece tale delibera avrebbe potuto essere adottata solo dalle assemblee dei condomìni parziali, separatamente convocate, e con le maggioranze richieste per le innovazioni. Il ricorrente ricorda di avere in primo grado dedotto che la rampa che conduce al suo appartamento è di proprietà sua e del proprietario dell’appartamento sullo stesso piano in egual misura, “in relazione agli atti di acquisto dei vari proprietari dove le singole rampe venivano inserite in capo ai medesimi pro quota, secondo il sistema tavolare”.
Il motivo è infondato.
Va premesso che la Corte di Appello ha accertato, in fatto, che l’intervento deliberato consisteva nella sostituzione della scala esistente, costruita negli anni 1953/1959, che era “meno comoda rispetto ad una scala lineare realizzata applicando le attuali norme”. Inoltre, ha qualificato l’opera come “diretta a garantire il miglior godimento della cosa comune” escludendo trattarsi di “innovazione”. La Corte di Appello si è attenuta alla giurisprudenza di legittimità la quale ha chiarito che “costituisce innovazione ex 1120 c.c. non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l’entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite, una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l’esecuzione delle opere. Ove invece la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo ma risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell’ambito dell’art.1102 c.c., che, pur dettato in materia di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell’art. 1139 c.c.” (Cass. n. 240 del 1997; Cass. n.2940 del 1963). “In sostanza, perché possa aversi innovazione è necessaria l’esecuzione di opere che, incidendo sull’essenza della cosa comune, ne alterino l’originaria funzione e destinazione. Inoltre, proprio perché oggetto di una delibera assembleare, l’esecuzione di opere, per integrare una innovazione, deve essere rivolta a consentire una diversa utilizzazione delle cose comuni da parte di tutti i condòmini” (Cass. 945 del 2013).
La Corte di Appello ha inoltre dato conto del fatto incontroverso che il condominio è costituto da cinque appartamenti e che vi è una (sola) scala che dal seminterrato conduce al primo piano e poi al secondo piano dell’edificio. La Corte di Appello ha affermato che la scala era “una parte comune dell’edificio” (sentenza pagina 11). Ha poi, riprendendo la tesi del ricorrente secondo cui ogni rampa di scale sarebbe oggetto di un condominio parziale, fatto cenno a tali condomìni parziali incidentalmente e con isolata affermazione. La tesi del ricorrente – che valorizza un’unica isolata frase della Corte d’Appello senza collegarla all’intero contesto motivazionale – contrasta con il concetto di condominio parziale.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, la fattispecie del condominio parziale, che rinviene il fondamento normativo nell’art. 1123, comma 3, c.c., si configura “ex lege” quando un bene risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato oggettivamente al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell’edificio in condominio, rimanendo, per l’effetto, oggetto di un autonomo diritto di proprietà e venendo meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condòmini su quel bene (tra le varie, Cass. n.791 del 16/01/2020). La deduzione del ricorrente, secondo cui la rampa che conduce al suo appartamento sarebbe in pari misura di proprietà sua e del proprietario dell’appartamento sullo stesso piano “in relazione agli atti di acquisto dei vari proprietari dove le singole rampe venivano inserite in capo ai medesimi pro quota, secondo il sistema tavolare”, si riduce alla allegazione di un fatto e non si confronta neppure con la ulteriore funzione di accesso al tetto (che è bene comune a tutti i partecipanti).
A ciò aggiungasi che i titoli ed estratti tavolari non sono neppure riprodotti nel ricorso, in violazione dell’onere di autosufficienza (cfr. art. 366 n. 6 cpc).
Quanto alla censura sulle maggioranze, la Corte di Appello ha accertato che erano state raggiunte le maggioranze necessarie ai sensi dell’art.1136 c.c. sul presupposto, pacifico in causa (v. ricorso e controricorso), che tre condòmini avevano votato a favore, uno aveva votato a favore a condizione che la delibera fosse unanime e il solo attuale ricorrente aveva votato in senso contrario, che i votanti a favore avevano 551,54 millesimi, il condòmino che aveva espresso voto favorevole condizionato aveva 128,17 millesimi e l’attuale ricorrente aveva 157,20 millesimi.
Sono fuori luogo i richiami fatti dal ricorrente alla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n.5329 del 2017; sentenza n.5288 del 2012 e sentenza n.2046 del 2006) in tema di condominio cd. minimo, formato, cioè, da due partecipanti con diritti di comproprietà paritari sui beni comuni, posto che come si è visto, nel caso in esame, la compagine condominiale è ben più numerosa e le quote di partecipazione sono diverse. Infine – ed è bene precisarlo – resta ferma la regola posta dall’art. 1124 cod. civ. relativa alla ripartizione delle spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale;

3. con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c. la violazione degli artt.1121 c.c. “per non avere la Corte di Appello valutato la gravosità e il carattere voluttuario delle spese deliberate”. Il ricorrente deduce che la Corte di Appello ha affermato che “il ctu non ritiene l’inutilità della sostituzione delle scale e pertanto la decisione di rifacimento delle rampe rientra nelle attribuzioni della assemblea del Condominio anche in rapporto a ciascun condominio parziale” laddove invece il ctu aveva affermato che “le scale non presentano crepe o segni particolari che possano presupporre una inadeguatezza della struttura”. Il ricorrente deduce che la spesa di rifacimento delle scale avrebbe dovuto essere qualificata come voluttuaria. Deduce altresì che la spesa prevista, di 90.000 euro, da maggiorarsi degli oneri per la “pratica strutturale e di coordinamento tecnico”, era senz’altro, al contrario di quanto ritenuto dalla Corte di Appello,
una spesa eccessiva anche in rapporto al costo di acquisto dell’immobile del ricorrente, pari a 248.000,00 euro;
Il motivo è infondato.
La Corte di Appello ha condiviso la valutazione del CTU sulla maggior comodità della scala in progetto -“lineare e realizzata applicando le attuali norme”- rispetto alla scala esistente “realizzata 63/66 anni” addietro. Il ricorrente, facendo perno su altri passaggi della relazione del CTU e su sue soggettive valutazioni sulla onerosità dell’intervento, vorrebbe ottenere in questa sede una nuova valutazione del merito della causa sul carattere “voluttuario” dell’intervento e sulla eccessività del relativo costo, ma un tale accertamento è precluso nel giudizio di legittimità.

5. in conclusione il ricorso deve essere rigettato;

6. le spese seguono la soccombenza; si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato;

P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro. 4.000,00, per compensi professionali, Euro. 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15 per cento e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del D.P.R. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 10 aprile 2025.
Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2025.


About The Author