CONDOMINIO – Cassazione Civile sez. II, 21.6.23 n. 17713 – Compenso dell’amministratore e approvazione del rendiconto

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La Corte di Cassazione interviene sulla questione del compenso dell’amministratore, in relazione all’approvazione del rendiconto.

In merito al compenso dell’amministratore, la riforma del 2012, nel riformulare l’art. 1129 codice civile, su nomina, revoca ed obblighi dell’amministratore, ha introdotto importanti previsioni: stabilisce infatti che l’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta (comma XIV), oltre stabilire che per quanto non disciplinato dal presente articolo si applicano le disposizioni di cui alla sezione I del capo IX del titolo III del libro IV (comma XV), ossia le disposizioni generali sul contratto di mandato (artt. 1703-1730 codice civile),

Tra esse vi sono anche quella per cui il mandato si presume oneroso e la misura del compenso, se non è stabilita dalle parti, è determinata in base alle tariffe professionali o agli usi e in mancanza è determinata dal giudice (art. 1709), e quella per cui il mandatario deve rendere al mandante il conto del suo operato e rimettergli tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato e la dispensa preventiva dall’obbligo di rendiconto non ha effetto nei casi in cui il mandatario deve rispondere per dolo o per colpa grave (art. 1713).

All’amministratore di condominio appare inapplicabile la regola generale in materia di mandato sulla determinazione del compenso (stante la previsione di nullità della nomina in mancanza di specificazione analitica del compenso: se il compenso non è stato previamente determinato, il diritto al compenso a rigore neanche può sorgere); gli si applica, invece, la regola generale sull’obbligo di rendiconto, come ribadito dalla pronuncia in esame, con importanti conseguenze sulla sorte del compenso.

Tale pronuncia si riferisce invero ad una fattispecie precedente all’entrata in vigore delle succitate previasioni; è tuttavia meritevole di nota, laddove puntualizza che, in ogni caso (già in forza delle regole previgenti; e tra le righe sottointende: a maggior ragione per quelle attuali), il compenso dell’amministratore del condominio, costituendo una spesa a carico del condominio, è una voce del relativo bilancio che necessita di approvazione in sede di deliberazione concernente il consuntivo spese.

Nel caso deciso i rendiconti annuali di gestione a cui l’amministratore era tenuto non erano stati approvati perchè erano state riscontrate irregolarità di registrazione di alcune voci.

La consequenza è la seguente: si esclude il diritto al compenso, perchè il credito, in mancanza di regolare approvazione del rendiconto di gestione relativo agli anni in cui è maturato, non è munito del necessario requisito di liquidità ed esigibilità.

Si ribadisce pertanto, quali principi consolidati in materia, che:

– giusta le regole generali sul mandato, il diritto dell’amministratore di condominio al compenso, così come quello al rimborso delle anticipazioni e delle spese, è condizionato alla presentazione al mandante del rendiconto del proprio operato, che deve necessariamente comprendere la specificazione dei dati contabili delle entrate, delle uscite e del saldo finale;

– giusta le specifiche norme sul condominio, essendo previsto che l’assemblea è esclusivamente competente alla previsione e ratifica delle spese condominiali, ne consegue che in mancanza di un rendiconto approvato il credito dell’amministratore non può ritenersi nè liquido nè esigibile.

Civile Ord. Sez. 2 Num. 17713 Anno 2023
Presidente: GIUSTI ALBERTO
Relatore: CAVALLINO LINALISA
Data pubblicazione: 21/06/2023

(omissis)

FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 1614 del 2018, la Corte d’appello di (omissis) in accoglimento dell’appello del Condominio * ha rigettato la domanda di P* V*, dante causa degli attuali ricorrenti, diretta ad ottenere il pagamento della somma dovutale a titolo di compenso per l’attività svolta quale amministratrice negli anni 2009 e 2010.

Il condominio aveva rappresentato che con sentenza del Tribunale di Roma del 16 luglio 2015, P* V* era stata condannata alla restituzione della somma di Euro 39.802,42 corrispondente agli importi, non registrati in modo regolare, versati dall’A* e da alcuni condomini e che in conseguenza non risultava approvato alcun rendiconto relativo alla sua gestione.

La Corte d’appello ha ritenuto, pertanto, che correttamente il Condominio avesse rifiutato di pagare il compenso, perché il compenso per l’attività gestoria è comunque una spesa che necessita di preventiva deliberazione e approvazione quale voce del relativo bilancio e mancava la prova del corretto adempimento degli obblighi di rendiconto per gli esercizi di amministrazione.

Avverso questa sentenza E* e L*, eredi di P* V*, deceduta nelle more del giudizio, hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Il condominio ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve darsi atto che infondatamente il Condominio ha eccepito il difetto di prova della qualità di eredi dei ricorrenti.

E* e L* hanno tempestivamente documentato, con memoria depositata oltre un mese prima dell’odierna udienza in camera di consiglio (alla fattispecie si applica ratione temporis il nuovo testo dell’art. 372 c.p.c., ex art. art. 35, comma 6 del D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 149, come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197), non soltanto di essere eredi, ma anche la conoscenza del controricorrente di tale loro qualità: proprio dal Condominio, infatti, è stato eseguito, nei loro confronti, un atto di pignoramento immobiliare in cui è dato atto del decesso della dante causa P.V., della intervenuta successione legittima e della proprietà del bene staggito in capo a loro, per successione dalla madre; con il Condominio, peraltro, è anche stata stipulata da loro, nella qualità, una transazione.

1. Con il primo motivo, articolato in più profili, gli eredi hanno sostenuto la nullità della sentenza ex art. 360 comma I numero 4 c.p.c. “per errata valutazione delle prove e dei documenti e omesso ed erroneo esame delle risultanze probatorie” (così in ricorso), nonché, ex numero 5, l’erronea considerazione di decisività di fatti invece estranei al giudizio. La Corte territoriale avrebbe infatti erroneamente ritenuto rilevante la sentenza del 16 luglio 2015 resa dal Tribunale di Roma nel separato giudizio, per essere ancora pendente l’appello e, in conseguenza, per essere ancora sub iudice la questione della registrazione erronea di alcune partite nel rendiconto; avrebbe altresì erroneamente equiparato la mancata approvazione dei bilanci regolarmente presentati alla mancata presentazione di rendicontazione.

2. Con il secondo motivo è stata prospettata la violazione e falsa applicazione, in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 c.p.c., degli artt. 1713 e seguenti c.c. per avere la Corte d’appello fondato il rigetto della domanda di P.V. sull’irregolarità accertata nel diverso giudizio, peraltro soltanto in primo grado, senza considerare che l’amministratrice aveva comunque provato di avere esperito il suo mandato con conseguente diritto al compenso pattuito.

3. Entrambi i motivi, esaminabili congiuntamente per continuità di argomentazione, sono infondati.

Premesso che alla fattispecie non è applicabile, ratione temporis, la disciplina del condominio negli edifici come introdotta con la L. 11/12/2012 n. 220, deve dunque considerarsi che comunque, anche ai sensi dei n. 2 e 3 dell’art. 1135 c.c. nella formulazione vigente all’epoca dei fatti per cui è giudizio, il compenso dell’amministratore del condominio, costituendo una spesa a carico del condominio, era una voce del relativo bilancio che necessitava di approvazione in sede di deliberazione concernente il consuntivo spese.

Nella specie, dunque, è incontestato tra le parti, attesa la pendenza del giudizio conclusosi in primo grado con la sentenza del Tribunale di Roma del 16 luglio 2015, che i rendiconti annuali di gestione a cui l’amministratore era tenuto ex comma II dell’art. 1130 c.c. vigente all’epoca, per entrambi gli anni di incarico, non sono stati approvati perché sono state riscontrate irregolarità di registrazione di alcune voci.

Conseguentemente, con la sua prima ratio decidendi, in sé già sufficiente, la Corte ha fondatamente escluso il diritto al compenso dell’amministratrice P* V* perché il credito non era munito del necessario requisito di liquidità ed esigibilità in mancanza di regolare approvazione del rendiconto di gestione relativo agli anni in cui è maturato.

Così decidendo la Corte territoriale ha correttamente applicato i principi consolidati in materia, secondo cui il contratto tipico di amministrazione di condominio è comunque riconducibile ad un rapporto di mandato presumibilmente oneroso (v. Cass. Sez. Un. 29/10/2004, n. 20957) e il diritto del mandatario al compenso e al rimborso delle anticipazioni e spese sostenute è condizionato alla presentazione al mandante del rendiconto del proprio operato, che deve necessariamente comprendere la specificazione dei dati contabili delle entrate, delle uscite e del saldo finale (Sez. 2, Sentenza n. 1429 del 08/03/1979; Sez. 3, Sentenza n. 3596 del 28/04/1990); proprio le specifiche norme dettate in materia di condominio, poi, prevedono che l’assemblea sia esclusivamente competente alla previsione e ratifica delle spese condominiali, sicché in mancanza di un rendiconto approvato il credito dell’amministratore non può ritenersi né liquido né esigibile (Sez. 2, Sentenza n. 14197 del 2011; Sez. 2 -, Ordinanza n. 7874 del 19/03/2021).

4. Per queste ragioni il ricorso è respinto, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate in dispositivo, in favore del Condominio *.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto

    P. Q. M.

    La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del Condominio *, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida complessivamente in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese
    forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e
    agli accessori di legge.
    Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
    versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
    contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma
    dell’art. 13, comma 1-bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

    Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

    Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile

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