CONDOMINIO – Art. 1102 c.c. (Uso della cosa comune) e Art. 1122 (Opere su parti di proprietà o uso individuale)

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LE NORME:

Articolo 1102 Codice Civile – Uso della cosa comunecomma
Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.I
Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.II
Articolo 1120 Codice Civile – Innovazionicomma
Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.IV

Articolo 1122 Codice Civile – Opere su parti di proprietà o uso individualecomma
Nell’unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all’uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio.I
In ogni caso è data preventiva notizia all’amministratore che ne riferisce all’assemblea.II

LA GIURISPRUDENZA:

– le due limitazioni fodamentali della destinazione e dell’altrui pari uso e (salvo diverse previsioni in regolamento condominiale contrattuale) non necessità di delibere autorizzative e loro eventuale valenza

Cassazione civile sez. VI, 13/12/2022, n. 36389, dalla motivazione: … questa Corte spiega costantemente che le innovazioni di cui all’art. 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall’art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa; per quanto concerne, poi, l’aspetto soggettivo, nelle innovazioni rileva l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell’assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni, che non si confrontano con un interesse generale, bensì con quello del singolo condomino, al cui perseguimento sono rivolte (ex multis, Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20712; Cass. Sez. 6 – 2, 03/02/2022, n. 3440). L’opera sulle cose comuni che sia realizzata ad iniziativa di un condomino e a sue spese non può dunque residualmente valutarsi alla stregua dell’art. 1120 c.c., come intende la Corte d’appello, essendo piuttosto tale fattispecie del tutto estranea all’indicata norma, la quale regola le modalità di espressione ed i limiti delle attribuzioni dell’assemblea, allorché la maggioranza qualificata dei partecipanti voglia disporre l’intervento con deliberazione che vincola peraltro tutti i condomini a sostenerne le spese. A differenza dalle innovazioni – configurate, come appena ribadito, dalle nuove opere, le quali immutano la sostanza o alterano la destinazione delle parti comuni e che vengono deliberate dall’assemblea nell’interesse di tutti i partecipanti – le modifiche alle parti comuni dell’edificio, contemplate dall’art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l’altrui pari uso. Le modifiche delle parti comuni che il singolo condomino intende apportare a proprie spese per il miglior godimento di esse non richiedono alcuna preventiva autorizzazione dell’assemblea, salvo che tale autorizzazione non sia imposta da una convenzione contrattuale approvata dai condomini nell’interesse comune, mediante esercizio dell’autonomia privata (ad esempio, Cass. Sez. 2, 21/05/1997, n. 4509). Alla eventuale autorizzazione ad apportare tali modifiche concessa dall’assemblea (autorizzazione nella specie negata alla condomina (omissis) dalla deliberazione dell’assemblea del Condominio (Omissis) del 20 aprile 2016), può attribuirsi altrimenti il valore di mero riconoscimento dell’inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini rispetto alla concreta utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante (Cass. Sez. 2, 20/02/1997, n. 1554)..

Cassazione civile sez. II, 20/02/1997, n. 1554, dalla motivazione:
2.3. L’uso delle parti comuni da parte di ciascun condomino dall’art. 1102 cit. è sottoposto a due limitazioni fondamentali, consistenti nel duplice divieto di alterare la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto (Cass., Sez. II, 15 luglio 1995, n. 7752). A ciascun condomino è consentito, altresì, usare delle parti comuni apportando delle modifiche, sempre che queste non alterino la loro entità sostanziale o la destinazione originaria (Cass., Sez. II, 5 novembre 1990, n. 10602; Cass., Sez. II, 29 luglio 1989, n. 3549; Cass., Sez. II, 6 giugno 1989, n. 2746). Allo stesso modo, se rispetta i suddetti limiti – vale a dire, non modifica la destinazione e non impedisce l’altrui pari uso – il condomino può anche accrescere la misura del proprio godimento (Cass., Sez. II, 23 febbraio 1987, n. 1911; Cass., Sez. II, 14 dicembre 1982, n. 6869). Le parti comuni dell’edificio, quindi, possono essere utilizzate da ciascun condomino anche in modo particolare e diverso dal loro uso normale, sempre che ciò non alteri l’equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni, attuali e potenziali, degli altri e non determini pregiudizievoli invadenze nell’ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari (Cass., Sez. II, 11 gennaio 1993, n. 172; Cass., Sez. II, 21 maggio 1990, n. 4566).
2.4 Sussiste alterazione della destinazione quando le modifiche rendono impossibile o comunque pregiudicano in modo apprezzabile la funzione originaria delle parti comuni (Cass., Sez. II, 28 novembre 1984, n. 6192; Cass., Sez. II, 26 luglio 1983, n. 5132). Quanto all’impedimento dell’altrui pari uso, il termine “impedire” può intendersi in senso lato, come diminuire o limitare; ovvero in senso stretto, secondo il significato letterale, come proibire e rendere impossibile. Attenendosi alla lettera della legge, la interpretazione dominante intende la disposizione come divieto di rendere impossibile agli altri partecipanti di farne uso, posto che il legislatore conferisce a ciascun partecipante la facoltà di realizzare la più intensa utilizzazione delle parti comuni, che sia compatibile con il diritto degli altri. Pertanto, non può considerarsi prescritto che ogni partecipante, nell’utilizzare le parti comuni, debba consentire agli altri di farne un uso identico, perché l’identità dello spazio o nel tempo potrebbe importare il divieto per ogni condomino di fare delle parti comuni un uso particolare a proprio esclusivo vantaggio. Ne deriva che, per stabilire se l’uso più intenso da parte di un condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio tra i partecipanti al condominio, e perciò sia da ritenersi non consentito, non deve aversi riguardo all’uso fatto in concreto di dette parti dagli altri condomini in un determinato momento, ma all’uso potenziale (Cass., Sez. II, 23 marzo 1995, n. 3368; Cass., Sez. II, 4 marzo 1983; n. 1637), tenendo conto e della destinazione attuale e delle ragionevoli prospettive offerte dalla cosa (Cass., Sez. II, 4 marzo 1983; n. 1637), da valutarsi con concreto riferimento al caso particolare ed alle peculiarità della fattispecie (Cass., Sez. II, 19 ottobre 1968, n. 3374).

2.6. Per apportare alle parti comuni delle modifiche, che non alterano la destinazione e non impediscono l’altrui pari uso, trattandosi di esercizio delle facoltà inerenti al diritto dominicale, il condomino non ha bisogno della approvazione dell’assemblea (Cass., Sez. II, 4 dicembre 1982, n. 6608; Cass., Sez. II, 30 ottobre 1980, n. 5843). La autorizzazione, concessa dall’assemblea su richiesta del condomino per ragioni di civile convivenza, non può interpretarsi che come riconoscimento, da parte del collegio, della inesistenza delle pretese degli altri condomini di usare della cosa comune; quindi, come apprezzamento in concreto del fatto che l’uso più intenso prospettato dal singolo non dà luogo ad un impedimento all’altrui pari uso, tenuto conto delle ragionevoli prospettive offerte dalla cosa, valutate in concreto con riferimento al caso di specie.

– ammissibilità in regolamento condominiale contrattuale di clausola che estende i divieti di modificazioni

Cassazione civile sez. II, 18/05/2016, n. 10272, dalla motivazione: … le norme di un regolamento di condominio – aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall’unico originario proprietario dell’edificio ed accettate con i singoli atti di acquisto dai condomini, ovvero adottate in sede assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini – possono derogare od integrare la disciplina legale, consentendo l’autonomia privata di stipulare convenzioni che pongano nell’interesse comune limitazioni ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parti condominiali, sia riguardo al contenuto del diritto dominicale sulle porzioni di loro esclusiva proprietà. Ne consegue che il regolamento di condominio può legittimamente dare del limite del decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall’art. 1120 c.c., estendendo il divieto di innovazioni sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica, all’aspetto generale dell’edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva (tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 1748 del 24/01/2013 Rv. 624984; Sez. 2, Sentenza n. 11121 del 06/10/1999 Rv. 530488; v. altresì Sez. 2, Sentenza n. 8883 del 29/04/2005 (Rv. 582643).

Cassazione civile sez. II, 27/08/2020, n. 17965, dalla motivazione: … E’ infatti altrettanto consolidato l’orientamento di questa Corte – proprio con riguardo a disposizioni che stabiliscano il divieto assoluto di apportare qualsiasi modifica alle parti esterne dell’edificio, o, come allegato nel caso in esame, di installare tubi sui muri perimetrali – che riconosce all’autonomia privata la facoltà di stipulare convenzioni che pongano limitazioni nell’interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti comuni o di loro esclusiva proprietà. Inoltre, il regolamento può validamente dare del limite del decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall’art. 1120 c.c. e supposta dal medesimo art. 1102 c.c., arrivando al punto di imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica ed all’aspetto generale dell’edificio (cfr. indicativamente Cass. Sez. 2, 21/05/1997, n. 4509; Cass. Sez. 2, 02/05/1975, n. 1680; Cass. Sez. 2, 29/04/2005, n. 8883; Cass. Sez. 2, 24/01/2013, n. 1748; Cass. Sez. 2, 19/12/2017, n. 30528; Cass. Sez. 6 – 2, 18/11/2019, n. 29924; Cass. Sez. 2, 05/11/2019, n. 28465). Il regolamento di condominio può, del resto, validamente derogare alle disposizioni dell’art. 1102 c.c. (Cass. Sez. 2, 09/11/1998, n. 11268). L’elaborazione della giurisprudenza spiega come le modificazioni apportate da uno dei condomini, in violazione del divieto previsto dal regolamento di condominio, connotano tali opere come abusive e pregiudizievoli al decoro architettonico dell’edificio e configurano l’interesse processuale del singolo condomino che agisca in giudizio a tutela della cosa comune (cfr. Cass. Sez. 2, 09/06/1988, n. 3927; Cass. Sez. 2, 15/01/1986, n. 175).

– non sovrapponibilità tra le modificazioni ex art. 1102 c.c. e le innovazioni ex art. 1102 c.c. ma identità di ratio e applicazione dei limiti

Cassazione civile sez. II, 13/11/2020, n. 25790, dalla motivazione: Ha ragione la ricorrente a sostenere che l’art. 1102 c.c. e l’art. 1120 c.c. sono disposizioni non sovrapponibili, avendo presupposti ed ambiti di operatività diversi. Le innovazioni, di cui all’art. 1120 c.c., non corrispondono alle modificazioni, cui si riferisce l’art. 1102 c.c., atteso che le prime sono costituite da opere di trasformazione, le quali incidono sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà del condomino in ordine alla migliore, più comoda e razionale, utilizzazione della cosa, facoltà che incontrano solo i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c. (Cass. Sez. 2, 19/10/2012, n. 18052). In realtà, tra le nozioni di modificazione della cosa comune e di innovazione (e, pertanto, tra le sfere di operatività delle norme di cui all’art. 1102 e dell’art. 1120 c.c.) corre una differenza che è di carattere innanzitutto soggettivo, giacchè, fermo il tratto comune dell’elemento obiettivo consistente nella trasformazione della “res” o nel mutamento della destinazione, quel che rileva nell’art. 1120 c.c. (mentre è estraneo all’art. 1102 c.c.) è l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata dei partecipanti, espresso da una deliberazione dell’assemblea. Le modificazioni dell’uso della cosa comune, ex art. 1102 c.c., non si confrontano con un interesse generale, poichè perseguono solo l’interesse del singolo, laddove la disciplina delle innovazioni segna un limite alle attribuzioni dell’assemblea (Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20712). Non di meno, e in ciò sta l’infondatezza del secondo e del terzo motivo di ricorso, anche alle modificazioni apportate dal singolo condomino, ex art. 1102 c.c., si applica, per identità di “ratio”, il divieto di alterare il decoro architettonico del fabbricato previsto in materia di innovazioni dall’art. 1120 dello stesso codice (Cass. Sez. 2, 29/01/2020, n. 2002; Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20712; Cass. Sez. 2, 31/07/2013, n. 18350; Cass. Sez. 2, 22/08/2012, n. 14607; Cass. Sez. 2, 22/08/2003, n. 12343; Cass. Sez. 2, 29/03/1994, n. 3084; Cass. Sez. 2, 14/01/1977, n. 179).

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