CONDOMINIO – Cassazione Civile sez. III, 11.10.24 n. 26521 – Rispetto alla responsabilità per danni derivanti da parti comuni (art. 2051 c.c.) l’obbligazione dei singoli condòmini ha natura solidale (art. 2055 c.c.)

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Negli ultimi tempi la Corte di Cassazione è intervenuta più volte sull’assetto della responsabilità dei singoli condòmini per le obbligazioni contrattualmente assunte dal Condominio.

Tale assetto è delineato dal testo attualmente vigente dell’art. 63 disp.att. cod.civ. ( … l’amministratore … è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi. I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini.), siccome modificato dalla legge di riforma (l. 220/2012), dopo il revirement che negò la natura di obbligazioni solidali affermando quella di obbligazioni parziarie (Sezioni Unite 8.4.08, n. 9148, Estensore Corona); riguardo a tale obbligazione di garanzia gli Ermellini hanno coniato, per i condòmini in regola con i pagamenti, la definizione di fideiussori, sia pure ex lege.

Precisamente, Cassazione Civile sez. II, 17.2.23 n. 5043, in particolare, aveva voluto espressamente puntualizzare che:
– non è superata la ricostruzione operata dalle Sezioni Unite 8.4.08, n. 9148, Estensore Corona, nel senso che in riferimento alle obbligazioni assunte dall’amministratore, o comunque, nell’interesse del condominio, nei confronti di terzi la responsabilità diretta dei condomini è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote;
– ad esso si è unito, per le obbligazioni sorte dopo l’entrata in vigore della legge n. 220 del 2012, il debito sussidiario di garanzia del condomino solvente, subordinato alla preventiva escussione del moroso e pur sempre limitato alla rispettiva quota di quest’ultimo, e non invece riferibile all’intero debito verso il terzo creditore (vedasi i nuovi primi due commi dell’art. 63 disp. att. c.c.: il comma 1 dispone che l’amministratore “è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi”, mentre il comma 2 stabilisce che “[i] creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini”);
– agli effetti della disciplina dettata dai primi due commi dell’art. 63 disp. att. c.c., deve intendersi come “moroso” il condòmino che non abbia versato all’amministratore la sua quota di contribuzione alla spesa necessaria per il pagamento di quel creditore, e come “solvente” o “obbligato in regola con i pagamenti” il condòmino che abbia adempiuto al pagamento della propria quota afferente alle medesime spese nelle mani dell’amministratore;
– la norma configura un’obbligazione legale di garanzia di ogni condomino per le quote non sue: ciascun condomino oltre ad essere realmente obbligato (in via primaria verso l’amministratore, e in via indiretta verso il creditore) per la quota di debito proporzionata al valore della sua porzione, è anche garante per le quote dei condomini inadempienti: in tal senso la posizione del condomino in regola con i pagamenti, chiamato dal creditore a rispondere delle quote dovute dai morosi, dopo la preventiva escussione degli stessi, è, pertanto, assimilabile a quella di un fideiussore, sia pure ex lege, appunto perchè il condòmino solvente garantisce l’adempimento del contributo imposto al condòmino moroso, ovvero un debito non suo, ma altrui.

Quid iuris se l’obbligazione deriva, anzichè da contratto, da fatto illecito extracontrattuale ?

La dottrina tradizionale distingueva le obbligazioni tra contrattuali (responsabilità da inadempimento contrattuale, art. 1223 c.c.) ed extracontrattuali (responsabilità da fatto illecito, art. 20243 c.c.), rifacendosi agli istituti di diritto romano delle obligationes ex contractu e delle obligationes ex delicto.

Nel Condominio è naturale e fisiologico che vengano assunte obbligazioni contrattuali (essendo l’ente di gestione delle parti e dei servizi comuni, va da sè che esso stipuli contratti con i fornitori, le imprese, i professionisti).

Possono anche verificarsi responsabilità per danni derivanti da parti comuni: il caso più frequente è quello delle infiltrazioni dal tetto all’unità all’ultimo piano; oppure si pensi a situazioni di insidia o trabocchetto nei camminamenti.

L’art. 2051 c.c., rubricato Danno cagionato da cosa in custodia, stabilisce che Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia (in primis, dunque, il proprietario), salvo che provi il caso fortuito.

La pronuncia in oggetto consolida anche nel rinnovato scenario post riforma (l. 220/2012), un principio già affermato (nel 2015; con riferimento ad una vertenza sorta dunque anteriormente): “in caso di azione ex art. 2051 cod. civ. esperita da un condomino in relazione a danni alla sua proprietà individuale che originino da parti comuni, la domanda risarcitoria può essere proposta, ex art. 2055 cod. civ., nei riguardi di un singolo condomino e non necessariamente dell’intero condominio”.

Un tanto viene motivato osservando che, fermo l’assunto generale secondo cui, “in difetto di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, la responsabilità dei condomini nel caso di obbligazioni pecuniarie è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 cod. civ.” (Sezioni Unite 8.4.08, n. 9148, Estensore Corona), nondimeno, nel caso dei danni che originino da parti condominiali, tale “espressa previsione normativa” si identifica nell’art. 2055 c.c., rubricato Responsabilità solidale, in cui si stabilisce che Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno (la norma prosegue poi stabilendo che colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate; e che, nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali).

Alla base del ragionamento giuridico (individuati all’epoca, e ora ribaditi) tre argomenti interpretativi: premesse storiche, ragioni sistematiche e considerazioni particolari alla fattispecie della responsabilità per danni derivanti da cose in custodia.

* * *

Civile Ord. Sez. 3 Num. 26521 Anno 2023
Presidente: DE STEFANO FRANCO
Relatore: GUIZZI GIAIME STEFANO
Data pubblicazione: 11/10/2024

(omissis)

FATTI DI CAUSA

1. La società V* Snc (d’ora in poi, “società V*”), nonché L*, G* e V*, e con essi C*, ricorrono, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 470/22, del 20 settembre 2022, della Corte d’appello di Perugia, che – accogliendo il gravame esperito dall’Azienda U* (d’ora in poi, “A*”), avverso la sentenza n. 1293/19 del Tribunale di Perugia – ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva della A*, in relazione alla domanda risarcitoria dagli stessi proposta per danni agli immobili di loro proprietà.

2. Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti di aver adito l’autorità giudiziaria, affinché fosse accertata e dichiarata la responsabilità della A*, ex art. 2051 cod. civ. ed in via concorrente od alternativa ex art. 2043 cod. civ., nella causazione del danno, patrimoniale e non, patito a seguito delle consistenti infiltrazioni di acqua nell’immobile di loro proprietà in Foligno, adibito da oltre settant’anni allo svolgimento di attività commerciale nel settore dell’abbigliamento, infiltrazioni culminate nel crollo delle travi del tetto posto sull’intradosso della proprietà A*.

Assumevano, infatti, che il fenomeno infiltrativo traesse origine delle condizioni di fatiscenza dell’immobile soprastante e, comunque, dalle parti dell’edificio nella materiale ed esclusiva disponibilità della A*. Essa, infatti, proprietaria esclusiva del sottotetto, aveva il possesso esclusivo della porzione dello stesso sovrastante gli immobili degli attori, nella quale porzione era unicamente sorvegliabile lo stato delle travi ivi ubicate.

Costituitasi in giudizio, l’A*, oltre a resistere all’avversaria domanda, eccepiva, preliminarmente, che legittimato passivo sarebbe stato “l’ente condominio”.

Istruita la causa con l’assunzione di prova testimoniale e lo svolgimento di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di prime cure accoglieva la domanda risarcitoria, liquidando l’importo complessivo di Euro 25.357,07, per le spese sostenute in relazione agli interventi di bonifica, per danni alle merci e per lucro cessante, in ragione della chiusura dei locali. Su gravame, tuttavia, della convenuta soccombente, il giudice d’appello riformava la sentenza di condanna, dichiarando il difetto di legittimazione passiva della A*, legittimazione sussistente – a suo dire – in capo all’intero condominio.

3. Avverso la sentenza della Corte perugina hanno proposto ricorso per cassazione la società V*, nonché i V* e la C*, sulla base – come detto – di tre motivi.

3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione dell’art. 81 cod. proc. civ., e degli artt. 1105, 1117, 1123, 1126, 2043, 2051, 2055 cod. civ. e 24 Cost., per avere la Corte d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, ritenuto la carenza di legittimazione passiva dell’appellante.

I ricorrenti denunciano l’erroneità di tale decisione, che violerebbe, in primo luogo, l’art. 2055 cod. civ., disposizione in forza della quale ben può il danneggiato agire nei confronti del singolo condomino, sia pure nei limiti della quota imputabile al condominio. In tal senso, del resto, si è già affermato che “il risarcimento dei danni da cosa in custodia di proprietà condominiale soggiace alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055 cod. civ., comma primo, norma che opera un rafforzamento del credito, evitando al creditore di dover agire coattivamente contro tutti i debitori pro quota, anche quando il danneggiato sia un condomino, equiparato a tali effetti ad un terzo, sicché devono individuarsi nei singoli condomini i soggetti solidalmente responsabili poiché la custodia, presupposta dalla struttura della responsabilità per danni prevista dall’art. 2051 cod. civ., non può essere imputata né al condominio, quale ente di sola gestione di beni comuni, né al suo amministratore, quale mandatario dei condomini”.

Peraltro, la responsabilità della custodia, da cui discende la legittimazione passiva della A*, emergerebbe anche dai documenti prodotti, dai quali risulterebbe per tabulas la preordinata e colposa inerzia della stessa, consistita nel voler procrastinare le opere volte ad assicurare e tutelare la pubblica incolumità e sicurezza.

Inoltre, la Corte perugina avrebbe errato anche nel richiamare, a sostegno del difetto di legittimazione della A*, la tesi del “principio della necessaria convocazione dell’assemblea per le decisioni comuni” ex art. 1105 cod. civ., così avendo inteso porre “quale condizione per l’azione preordinata al risarcimento da fatto illecito ex artt. 2043/2051 cod. civ. (quale è l’iniziativa degli odierni ricorrenti) la previa convocazione dell’assemblea, quantunque il danno si fosse già verificato”.

In via subordinata e di mero corollario, si rileva come la Corte territoriale non avrebbe comunque dovuto pronunziare la carenza di legittimazione passiva della A*, ma, al più, emettere sentenza ex art. 354 cod. proc. civ., ordinando l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 102 cod. proc. civ. nei confronti degli altri comproprietari degli immobili componenti lo stabile in cui è avvenuto il crollo.

3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, nn. 4) e 5), cod. proc. civ. – violazione dell’art. 2909 cod. civ., nonché degli artt. 324,329, comma 2, 346,132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., dell’art. 111, comma 6, Cost. e degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., ovvero, in subordine, censura la sentenza impugnata per omessa pronunzia in ordine al giudicato formatosi sulla condanna in primo grado nei confronti della A* per responsabilità ex art. 2043 cod. civ.

Assumono i ricorrenti che il giudice di prime cure avrebbe censurato la condotta della A*, “riconoscendo in capo ad essa la sussistenza delle due obbligazioni violate (quelle da custodia e da neminem laedere), addebitando in via esclusiva entrambe le condotte e, per l’effetto, pronunciando la convergente condanna al risarcimento”.

In difetto di impugnazione della condanna pronunciata ex art. 2043 cod. civ., pertanto, la relativa statuizione sarebbe passata in giudicato, avendo la convenuta fatto acquiescenza.

Inoltre, si assume la violazione anche del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ., apparendo evidente – si sostiene – come la sentenza impugnata abbia travalicato i limiti previsti da tale norma “esercitando il potere di “riforma” su un capo di condanna della decisione di primo grado (art. 2043 cod. civ.) sul quale non era stata mossa alcuna censura in appello dalla A* e nei confronti del quale capo, pertanto, non disponeva di alcun sindacato né potere di pronunzia”.

3.3. Il terzo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. – violazione degli artt. 2043 e 2051 cod. civ. e degli artt. 81 e 116 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello di Perugia omesso l’esame di fatti decisivi per il giudizio, vale a dire:

– la missiva della A* all’Avv. F*, datata 10 marzo 2010;

– la missiva dell’Avv. F* alla A*, datata 5 marzo 2010 per conto della V* Snc;

– la CTU dell’Ing. L* resa in sede di giudizio di primo grado;

– la relazione d’intervento dei Vigili del Fuoco del 7 maggio 2010.

Fatti, tutti, attestati la responsabilità della A* per i danni cagionati ai ricorrenti.

4. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, l’A*, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.

5. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.

6. Entrambe le parti hanno presentato memoria.

7. Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. Il ricorso va accolto, nei limiti di seguito indicati.

8.1. Il primo motivo – che lamenta l’erroneità della declaratoria di difetto di legittimazione passiva della A* – è, infatti, fondato.

8.1.1. In relazione ad esso, tuttavia, è necessaria una precisazione preliminare.

Va, infatti, chiarito che l’espressione “legittimazione passiva”, pur adoperata dalla Corte territoriale, è impropria, giacché ciò che essa ha (erroneamente) escluso – come si evince dal testo della sentenza impugnata, oltre che dalla censura che di essa è fatta con il presente motivo – è la “titolarità passiva” del rapporto controverso.

Va, infatti, ribadito che la legittimazione “ad causam” dal lato passivo (o legittimazione a contraddire) “costituisce un presupposto processuale, cioè una condizione affinché il processo possa giungere ad una decisione di merito, e consiste nella correlazione tra colui nei cui confronti è chiesta la tutela e la affermata titolarità, in capo a costui, del dovere (asseritamente violato), in relazione al diritto per cui si agisce, onde il controllo del giudice al riguardo si risolve nell’accertare se, secondo la prospettazione del rapporto controverso data dall’attore, il convenuto assuma la veste di soggetto tenuto a “subire” la pronuncia giurisdizionale” (“ex multis”, nitidamente, Cass. Sez. 1, sent. 6 aprile 2006, n. 8040, Rv. 587972 – 01).

Nella specie, il giudice di appello, lungi da riscontrare questo difetto di corrispondenza – in cui si sostanzia, come appena detto, il difetto di legittimazione passiva – tra il soggetto nei cui confronti era stata proposta la domanda e quello che, nella domanda stessa, era indicato come responsabile del danno, ha escluso che la concreta titolarità del rapporto in giudizio facesse capo, appunto, all’A*, pervenendo, però, ad una conclusione erronea.

8.1.2. Questa Corte, infatti, con riferimento all’azione risarcitoria per danni da cosa in custodia di proprietà condominiale, ha ritenuto applicabile la regola della responsabilità solidale ex art. 2055, comma 1, cod. civ., individuando nei singoli condomini, e non nel condominio, i soggetti solidalmente responsabili (Cass. Sez. 2, sent. 29 gennaio 2015, n. 1674, Rv. 634159 – 01) e, quindi, titolari dal lato passivo del rapporto fatto valere in giudizio dal danneggiato.

In particolare, nel caso sottoposto a questa Corte ed oggetto dell’arresto appena menzionato, è stata ritenuta erronea l’affermazione del giudice di merito, il quale aveva escluso la solidarietà sul rilievo che “nella disciplina positiva del condominio” vi sarebbe sempre “un collegamento immediato tra le obbligazioni e le quote che esprimono la proprietà” (qualunque sia il titolo dell’obbligazione), per cui, “secondo il combinato disposto degli arti 1118 e 1123 cod. civ. i diritti e le obbligazioni dei condomini sono proporzionati al valore del bene in proprietà solitaria, sicché all’adempimento delle obbligazioni i condomini sono tenuti sempre in proporzione alle rispettive quote”.

Questa Corte, tuttavia, è giunta all’opposta conclusione senza smentire il principio generale – da essa precedentemente enunciato, nella sua più autorevole composizione – secondo cui, “in difetto di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, la responsabilità dei condomini nel caso di obbligazioni pecuniarie è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 cod. civ.” (Cass. Sez. Un, sent. 8 aprile 2008, n. 9148, Rv. 602479 – 01).

Nondimeno, nel caso dei danni che originino da parti condominiali, tale “espressa previsione normativa” – ha affermato questo giudice di legittimità – si identifica nell’art. 2055 cod. civ., sussistendo tre elementi (che questa Corte individua in “premesse storiche, ragioni sistematiche e considerazioni particolari alla fattispecie della responsabilità per danni derivanti da cose in custodia”) idonei a confortare “la tesi dell’applicabilità” del principio di solidarietà “anche in ambito condominiale” (Cass. Sez. 2, sent. n. 1674 del 2015, cit.).

Sul piano storico si è rilevato, infatti, che già nel codice civile 1865 (che pure, come tutti i codici liberali dell’800, richiedeva una specifica fonte convenzionale o legale della solidarietà, essendo ispirato al favor debitoris; cfr. art. 1188), “la previsione della solidarietà passiva nelle ipotesi di delitto o quasi – delitto” (cfr. art. 1156) “impediva che l’opposto principio della parziarietà dell’obbligazione, concepito come una sorta di beneficio, potesse operare anche a vantaggio di chi, essendo autore di un illecito aquiliano, non ne era ritenuto degno”. A maggior ragione, dunque, nel codice del 1942, la regola dell’attuazione solidale dell’obbligazione risarcitoria da fatto illecito – sancita dall’art. 2055 cod. civ. – è destinata a ricevere applicazione generalizzata, giacché essa è “mera norma di rimando all’art. 1294 cod. civ.” (così, nuovamente, Cass. Sez. 2, sent. n. 1674 del 2015, cit.).

A quello storico, questa Corte ha fatto seguire, poi, un argomento di natura sistematica, ovvero che l’applicabilità dell’art. 2055 cod. civ. realizza, anche in questo caso, la sua funzione tipica, quella di operare “un rafforzamento del credito evitando al creditore di dover agire coattivamente contro tutti i debitori pro quota)”, coerente con il fatto che il condomino danneggiato si pone “quale terzo rispetto allo stesso condominio cui è ascrivibile il danno stesso (con conseguente inapplicabilità dell’art. 1227, comma 1, cod. civ.)”, non potendo ritenersi soggetto che abbia “concorso a cagionare il danno” (cfr., ancora una volta, Cass. Sez. 2, sent. n. 1674 del 2015, cit.).

Infine, il terzo argomento fa leva sulle caratteristiche intrinseche della responsabilità per danni prevista dall’art. 2051 cod. civ., giacché essa presuppone l’individuazione di uno o più soggetti cui sia imputabile la custodia, tale soggetto non potendo “essere identificato né nel condominio, interfaccia idoneo a rendere il danneggiato terzo rispetto agli altri condomini, ma pur sempre ente di sola gestione di beni comuni, né nel suo amministratore, essendo questi un mandatario dei condomini. Solo questi ultimi, invece, possono considerarsi investiti del governo della cosa, in base ad una disponibilità di fatto e ad un potere di diritto che deriva loro dalla proprietà piena sui beni comuni ex art. 1117 cod. civ.” (così, testualmente, Cass. Sez. 2, sent. n. 1674 del 2015, cit.).

8.1.3. Orbene, sulla base di tali considerazioni, deve ritenersi che la Corte territoriale abbia errato nell’escludere la titolarità, dal lato passivo, nel rapporto controverso, della condomina A*, con conseguente accoglimento del primo motivo di ricorso.

8.2. I motivi secondo e terzo sono assorbiti dall’accoglimento del primo.

9. In conclusione, il primo motivo di ricorso va accolto e la sentenza impugnata cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, per la decisione sul merito e sulle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità, alla stregua del seguente principio di diritto:

“in caso di azione ex art. 2051 cod. civ. esperita da un condomino in relazione a danni alla sua proprietà individuale che originino da parti comuni, la domanda risarcitoria può essere proposta, ex art. 2055 cod. civ., nei riguardi di un singolo condomino e non necessariamente dell’intero condominio”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarando assorbiti i restanti, e cassa in relazione la sentenza impugnata, rinviando alla Corte d’appello di Perugia in diversa composizione per la decisione sul merito e sulle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma l’8 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria l’11 ottobre 2024.

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