CONDOMINIO – Cassazione Civile sez. II, 02.12.24 n. 30791 – L’individuazione delle parti comuni, come i lastrici solari, ex art. 1117 c.c.: quando opera e quando può essere superata.

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Come talvolta viene osservato, il Codice Civile non contiene una definizione del concetto di condominio: considera il condominio una forma speciale di comunione immobiliare, e gli dedica un apposito capo (il capo II, Del condominio negli edifici, del Titolo VII, Della comunione. del Iibro III, Della Proprietà), il quale esordisce con l’art. 1117 che, rubricato Parti comuni dell’edificio, stabilisce:
Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo:
1) tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, come il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate;
2) le aree destinate a parcheggio nonchè i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l’alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune;
3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell’aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.

Si suole dire che la norma introduce una presunzione di condominialità: la giurisprudenza
di legittimità ebbe a rimarcare che tale assunto non è appropriato (si veda Cassazione
Civile Sez. Un., 07/07/1993, n. 744911), tuttavia molte pronunce continuano tuttora
a richiamarlo, e rende l’idea.

Il lastrico solare in edilizia suole essere definito come una superficie piana situata sulla sommità di un edificio, la cui funzione principale è quella di copertura e protezione dell’edificio stesso dalle intemperie, come sole e pioggia: a differenza del tetto, in buona sostanza, il lastrico solare è orizzontale (potendo presentare solo leggere pendenze per consentire lo scorrimento dell’acqua), ossia senza falde spioventi; non di rado è calpestabile, e viene allora chiamato terrazzo di copertura.

L’art. 1117 c.c. surriportato dunque include il latrico solare tra gli esempi di parti comuni del condominio in quanto rientri tra le parti dell’edificio necessarie all’uso comune di più unità, e sempre se non risulta il contrario dal titolo.

La pronuncia in esame, ricordando i precedenti per cui si richiede, per escludere la previsione di condominialità di cui all’art. 1117 c.c., una espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del Condominio (cfr. ad esempio, in tema di cortili, Cass. n. 7885 del 2021; Cass. n. 16070 del 2019; Cass. n. 18796 del 2020; Cass. n. 5831 del 2017), puntualizza che il lastrico, in definitiva, assolve alla primaria funzione di copertura dell’edificio e rientra dunque nel novero delle parti comuni, salva la prova contraria che, però, deve essere fornita in modo chiaro ed univoco, attraverso una espressa riserva di proprietà.

Su questi presupposti viene cassata la sentenza di merito, che aveva ritenuto di trarre la prova della proprietà esclusiva del lastrico solare da una previsione contenuta del Regolamento condominiale, ponente le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria delle terrazze a carico del proprietario dell’appartamento di cui costituisce proiezione.
La pronuncia in esame afferma quindi il principio che la prova della proprietà del lastrico deve avvenire attraverso un titolo idoneo a dimostrare il superamento della presunzione di condominialità del lastrico solare di cui all’art. 1117 c.c., precisando che per titolo non si intende, evidentemente, il titolo che individua il soggetto destinatario dei costi della manutenzione, ordinaria e straordinaria, della terrazza, ma deve intendersi l’atto costitutivo dello stesso Condominio, ossia il primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto, con conseguente frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali; tale atto deve contenere in modo chiaro e inequivoco elementi tali da includere l’alienazione del diritto di condominio, non rilevando a tal fine quanto stabilito nel regolamento condominiale, ove non si tratti di regolamento allegato come parte integrante al primo atto d’acquisto trascritto, ovvero di regolamento espressione di autonomia negoziale, approvato o accettato col consenso individuale dei singoli condomini e volto perciò a costituire, modificare o trasferire i diritti attribuiti ai singoli condomini dagli atti di acquisto o dalle convenzioni (così Cass. n. 21440 del 2022; analogamente, v. anche, Cass. n. 27363/2021 cit.; Cass. n. 13279/2004 cit.; Cass. n. 4060/1995 cit.).

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Civile Sent. Sez. 2 Num. 30791 Anno 2024
Presidente: FALASCHI MILENA
Relatore: GIANNACCARI ROSSANA
Data pubblicazione: 02/12/2024

(omissis)

FATTI DI CAUSA

1. M*, proprietaria dell’appartamento ubicato al sesto piano del Condominio di Via L* a Palermo convenne in giudizio il citato Condominio e C*, lamentando la presenza di infiltrazioni provenienti dalla soprastante terrazza di proprietà della convenuta costituente copertura condominiale; chiese, quindi, accertarsi la responsabilità dei convenuti e la condanna all’eliminazione delle infiltrazioni, oltre al risarcimento dei danni, compresi quelli derivanti dalla mancata utilizzazione dell’immobile.
1.1. Il Condominio si costituì e chiese il rigetto della domanda, ponendo a fondamento l’art. 2, lett. c) del regolamento condominiale, che accollava l’onere della manutenzione ordinaria e straordinaria delle terrazze al proprietario dell’appartamento di cui erano proiezione.
1.2. Si costituì C*, in qualità di erede di C*, e dedusse di aver eliminato le infiltrazioni, eseguendo quanto disposto dal Tribunale in sede di procedimento cautelare.
1.4. Il Tribunale di Palermo accolse per quanto di ragione la domanda e condannò i convenuti in solido tra loro al risarcimento dei danni in favore dell’attrice nella misura di Euro 12.400,00; rigettò, invece, la domanda di risarcimento del danno.
1.5. Proposero appello C*, C* e M* in qualità di eredi di M* lamentando che, anche dopo il deposito della sentenza di primo grado, non erano cessate le infiltrazioni a causa della cattiva esecuzione delle opere da parte dei convenuti o per l’omessa manutenzione dei cornicioni, muri perimetrali e canali di gronda da parte del condominio; gli appellanti principali avevano lamentato, altresì, che il Tribunale non avesse riconosciuto il danno derivante al mancato utilizzo dell’immobile.
1.6. C* ed il Condominio di Via L* si costituirono per resistere all’impugnazione e proposero appello incidentale.
1.7. La Corte d’Appello di Palermo, con sentenza n. 1818 dell’11.10.2017, in parziale riforma della decisione del giudice di prime cure, rigettò la domanda proposta da M* nei confronti del Condominio, condannando gli appellanti principali al pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio nei confronti di detta parte, confermata la pronuncia per il resto, con compensazione delle spese tra gli appellanti principali e Ca.Si.
1.8. La Corte di merito dichiarò la carenza di legittimazione passiva del Condominio sulla base dell’art. 2, lett. c) del regolamento condominiale che, in deroga all’art. 1126 c.c., in tema di ripartizione delle spese di riparazione e manutenzione del lastrico solare, prevedeva che i lastrici solari fossero di proprietà esclusiva dei singoli appartamento dai quali avevano accesso, sicché l’onere di manutenzione ordinaria e straordinaria era totalmente a carico dei proprietari dei relativi appartamenti. Detto regolamento aveva natura contrattuale e, benché non trascritto, era vincolante per M* e C* in quanto richiamato nei singoli atti di acquisto. Conseguentemente, le spese di riparazione del lastrico solare dovevano gravare interamente su C* e non sul Condominio.
Inoltre, dichiarò inammissibile la domanda proposta nei confronti del Condominio perché, in violazione all’art. 345 c.p.c., la questione dei danni provenienti dalle parti comuni dell’edificio condominiale era stata proposta per la prima volta in appello.
1.9. Quanto agli ulteriori danni imputabili alla condomina C*, la Corte d’Appello osservò che M* aveva segnalato al Condominio ed a C*, ancor prima di intraprendere il giudizio cautelare, la presenza di infiltrazioni nel proprio appartamento. In seguito a tale segnalazione, C* aveva chiesto di accedere all’immobile per le opportune verifiche, ricevendo un netto rifiuto da M* sia prima che dopo l’esecuzione dei lavori spontaneamente eseguiti prima dell’emissione dell’ordinanza cautelare. Anche dopo l’esecuzione dei lavori, con missiva del 7.2.2003, M* aveva diffidato M* a consentire l’accesso all’interno del suo appartamento, senza ricevere alcun riscontro; tale comportamento integrava, secondo la Corte di merito, violazione del dovere di cooperazione gravante sul debitore.
1.10. In ordine ai danni verificatisi dopo i lavori di riparazione della terrazza, la Corte d’Appello ritenne che fosse onere di M* intervenire al fine di evitare l’aggravamento dei danni sì da rendere impossibile la collocazione sul mercato; anche la domanda di risarcimento del danno da mancato utilizzo dell’immobile venne ritenuta infondata perché il danno subito era stato allegato ma non provato.

2. C*, C* e M* hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello sulla base di otto motivi; il primo ed il secondo motivo sono articolati in due sottomotivi.
2.1. Il Condominio di Via L* e C* hanno resistito con distinti controricorsi.
2.2. Il Sostituto Procuratore Generale, in persona della Dott.ssa Luisa De Renzis, con memorie scritte depositate in vista dell’udienza, ha chiesto il rigetto del ricorso.
2.3. In prossimità dell’udienza, anche i ricorrenti e Ca.Si. hanno depositato memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Deve essere, in primo luogo, dichiarata la nullità della procura rilasciata dal Condominio di Via L* all’Avv. N*.
1.1. La nomina del nuovo difensore è avvenuta con atto datato 9.2.2024, “memoria di nomina di nuovo difensore” con cui l’avv. N* ha dichiarato di costituirsi nell’interesse del Condominio di Via L* in sostituzione dell’avv. S*, in virtù di procura alle liti in suo favore autenticata dal medesimo difensore. Tale procura è irrituale, con conseguente invalidità della stessa (Cass. 18 gennaio 2006 n. 823; Cass. 18 luglio 2007 n. 15972), perché non rilasciata con atto pubblico e scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83, comma 2 c.p.c., ratione temporis applicabile.
1.2. La possibilità di conferire la procura alle liti a margine della comparsa di costituzione di un nuovo difensore, è stata inserita nell’art. 83 c.p.c. dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 9, lett. a), ma, per espressa previsione dell’art. 58, comma 1, di tale legge, “le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”, avvenuta il 4 luglio 2009. Essendo il presente giudizio iniziato in primo grado nel 2001, ad esso non può applicarsi la nuova disposizione (v. Cass. 26 marzo 2010 n. 7241; Cass. 17 febbraio 2014 n. 3608; Cass. 27 agosto 2014 n. 18323 e Cass. 2 dicembre 2014 n. 25505).

2. Con la prima parte del primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 c.p.c., per avere la Corte d’Appello accertato la proprietà esclusiva del lastrico solare sulla base del regolamento condominiale, sebbene il regolamento possa derogare ai criteri di ripartizione delle spese ma non al principio di comproprietà stabilito dall’art. 1117 c.c. La Corte d’Appello sarebbe, pertanto, incorsa nell’errore di dichiarare la carenza di legittimazione passiva del Condominio, per non essere proprietario del lastrico solare, sull’erroneo presupposto che la norma regolamentare potesse modificare il regime della proprietà condominiale, esonerando il Condominio, quale ente gestore dell’edificio condominiale, all’obbligo di assicurare la manutenzione del bene.
2.1. Con la seconda parte del primo mezzo i ricorrenti lamentano che la Corte d’Appello non aveva tenuto conto che le infiltrazioni provenivano non solo dal lastrico solare ma anche dai cornicioni di gronda di proprietà condominiale.
2.2. Il motivo è fondato sotto entrambi i profili.
2.3. Secondo l’insegnamento di questa Corte, in tema di condominio negli edifici, l’individuazione delle parti comuni, come le terrazze di copertura, risultante dall’art. 1117 c.c. può essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un determinato titolo e non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (Cass., Sez. Un., 7 luglio 1993 n. 7449; Cass. 8 settembre 2021 n. 24189).
L’art. 1117 c.c. non introduce una presunzione di appartenenza comune di determinati beni a tutti i condomini, ma fissa un criterio di attribuzione della proprietà del bene (“Sono oggetto di proprietà comune….”), che è suscettibile di essere superato mediante la produzione di un titolo che dimostri la proprietà esclusiva di quel bene in capo ad un condomino, o a terzi, ovvero attraverso la dimostrazione che, per le sue caratteristiche strutturali, la res sia materialmente asservita a beneficio esclusivo di una o più unità immobiliari.

2.4. Con riguardo ai lastrici, in particolare, si è ritenuto che, qualora non intervenga una volontà derogatoria degli interessati sul regime di appartenenza, i beni e i servizi elencati dall’art. 1117 c.c., in virtù della relazione di accessorietà o di collegamento strumentale con le singole unità immobiliari, sono attribuiti ex lege in proprietà comune per effetto dell’acquisto della proprietà dei piani o porzioni di piano; pertanto, il lastrico solare è oggetto di proprietà comune se il contrario non risulta dal titolo, per tale intendendosi gli atti di acquisto delle altre unità immobiliari nonché il regolamento di Condominio accettato dai singoli condomini (Cass. 8 ottobre 2021 n. 27363; Cass. 16 luglio 2004 n. 13279).
È stato, inoltre, precisato in giurisprudenza che l’individuazione delle parti comuni, come i lastrici solari, emergente dall’art. 1117 c.c., ed operante con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, non siano destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari, può essere superata soltanto dalle contrarie risultanze dell’atto costitutivo del Condominio, ove questo contenga in modo chiaro e inequivoco elementi tali da escludere l’alienazione del diritto di Condominio (Cass. 6 luglio 2022 n. 21440; Cass. 7 aprile 1995 n. 4060).

2.5. La giurisprudenza di questa Corte richiede, per escludere la previsione di condominialità di cui all’art. 1117 c.c., una espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del Condominio (cfr. ad esempio, in tema di cortili, Cass. n. 7885 del 2021; Cass. n. 16070 del 2019; Cass. n. 18796 del 2020; Cass. n. 5831 del 2017; la regola vale ovviamente anche per gli altri beni indicati nell’art. 1117 c.c.).
Il lastrico, in definitiva, assolve alla primaria funzione di copertura dell’edificio e rientra dunque nel novero delle parti comuni, salva la prova contraria che, però, deve essere fornita in modo chiaro ed univoco, attraverso una espressa riserva di proprietà.
2.6. A tali principi non si è uniformata la Corte di merito, che ha ritenuto di trarre la prova della proprietà esclusiva del lastrico solare dall’art. 2, lett. c) del Regolamento condominiale, che pone le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria delle terrazze a carico del proprietario dell’appartamento di cui costituisce proiezione.
2.7. La prova della proprietà del lastrico doveva avvenire, invece, attraverso un titolo idoneo a dimostrare il superamento della presunzione di condominialità del lastrico solare di cui all’art. 1117 c.c.
Per titolo non si intende, evidentemente, il titolo che individua il soggetto destinatario dei costi della manutenzione, ordinaria e straordinaria, della terrazza, ma deve intendersi l’atto costitutivo dello stesso Condominio, ossia il primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto, con conseguente frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali; tale atto deve contenere in modo chiaro e inequivoco elementi tali da includere l’alienazione del diritto di condominio, non rilevando a tal fine quanto stabilito nel regolamento condominiale, ove non si tratti di regolamento allegato come parte integrante al primo atto d’acquisto trascritto, ovvero di regolamento espressione di autonomia negoziale, approvato o accettato col consenso individuale dei singoli condomini e volto perciò a costituire, modificare o trasferire i diritti attribuiti ai singoli condomini dagli atti di acquisto o dalle convenzioni (così Cass. n. 21440 del 2022; analogamente, v. anche, Cass. n. 27363/2021 cit.; Cass. n. 13279/2004 cit.; Cass. n. 4060/1995 cit.).

Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha accertato la proprietà esclusiva del lastrico solare sulla base del regolamento del 7.12.1953 depositato presso il notaio Vito di Giovanni, che non era intellegibile, né trascritto nei registri immobiliari.
Detto regolamento, al momento della vendita delle singole proprietà era stato solo richiamato per relationem, mentre avrebbe dovuto essere allegato come parte integrante al primo atto d’acquisto trascritto e contenere in modo chiaro e inequivoco elementi tali da includere l’alienazione del diritto di condominio.

3. Con il secondo motivo di ricorso, recante la rubrica sub. 2 A, si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. per ultrapetizione; la Corte di merito avrebbe erroneamente interpretato la domanda proposta in grado d’appello, sostenendo che gli appellanti avevano chiesto la condanna dei convenuti all’eliminazione delle cause delle infiltrazioni, mentre gli stessi avevano lamentato che le infiltrazioni erano persistenti, limitando la domanda al risarcimento dei danni. Conseguentemente sarebbe errata la statuizione della Corte d’Appello, che ha dichiarato inammissibile la domanda, perché proposta per la prima volta in grado di appello.
Con la parte di motivo recante la rubrica sub 2 B, si deduce la violazione degli art. 112 e 277 c.p.c., per omessa pronuncia sulla domanda risarcitoria derivanti dal mancato utilizzo dell’immobile.
3. Con il settimo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 2043 c.c., 1223 c.c. e 1226 c.c., per avere la Corte di merito rigettato la domanda risarcitoria proposta dall’attrice per la mancata disponibilità dell’immobile in quanto reso inabitabile dalle infiltrazioni, per carenza di prova del danno costituto da concrete richieste di locazione o di vendita dell’immobile, nonché dalla circostanza che le condizioni dell’immobile fossero già pregiudicate dal suo stato di degrado. Secondo i ricorrenti, la decisione sarebbe in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, ed in particolare – si sostiene in memoria- con gli approdi costituiti dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 33645/2022 in materia di prova presuntiva del danno da mancato godimento del bene, corrispondente al valore locativo del bene; tale principio, anche se riferito alla perdita della disponibilità/godimento dell’immobile per la diversa ipotesi di occupazione senza titolo da parte di un terzo, potrebbe applicarsi alla fattispecie in esame in cui la perdita della disponibilità/godimento è dovuta alla inagibilità dell’immobile in conseguenza dell’attività colposa di terzi. Anche in tale ipotesi, il danno avrebbe potuto essere determinato con riferimento al canone locativo dell’immobile in quanto l’attrice avrebbe perso il godimento diretto e/o indiretto del suo appartamento, in quanto non poteva né goderlo, né concederlo a terzi per essere inabitabile, secondo quanto emerso dalla CTU. La Corte di merito avrebbe, quindi, omesso l’esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione, con riferimento alle risultanze della CTU, che aveva dato atto della presenza di distacchi, crolli, ecc…, concludendo che esso non fosse abitabile a causa del protrarsi delle infiltrazioni.
3.1. I motivi, che per la loro evidente connessione vanno trattati congiuntamente, sono fondati.
3.2. Sin dall’atto introduttivo del giudizio, l’attrice ha chiesto la condanna del Condominio di Via Libertà e di Ca.Ma. all’eliminazione delle cause delle infiltrazioni ed al risarcimento dei danni, costituiti sia dalle opere necessarie per ripristinare l’immobile sia ai danni derivanti dalla sua inutilizzabilità.
Le conclusioni sono state reiterate nell’atto d’appello, con cui è stato richiesto di accertare e dichiarare che a causa dell’inerzia dei convenuti nella eliminazione delle infiltrazioni, l’appartamento della Ma.Gi. era divenuto inabitabile e che non poteva essere utilizzato in alcun modo anche per il pericolo di crolli e di condannare gli appellati al risarcimento degli ulteriori danni (rispetto a quelli liquidati in sentenza) subiti dalla Ma.Gi., collegati alla impossibilità di utilizzazione dell’immobile.
Con l’atto d’appello, quindi, gli eredi dell’attrice hanno riproposto la medesima domanda, lamentando la persistenza dei danni da infiltrazione nonostante i lavori eseguiti dalla convenuta sul lastrico solare, in esecuzione dell’ordinanza emessa in sede cautelare.
3.3. La sentenza impugnata è errata anche in relazione alla prova del danno per il mancato godimento del bene da parte dell’attrice, per avere la Corte di merito rigettato la domanda risarcitoria perché l’attrice non avrebbe provato di avere ricevuto richieste di locazione o di vendita dell’immobile, considerando, peraltro, che le condizioni dell’immobile sarebbero state già pregiudicate dal suo stato di degrado.
3.4. Sul punto, deve essere richiamata la nota pronuncia delle Sezioni Unite del 15/11/2022, n.33645, che, in tema di prova del danno da perdita di godimento del bene, ha ammesso la prova presuntiva.
Le Sezioni Unite, con la citata sentenza, hanno optato per una mediazione fra la teoria normativa del danno, emersa nella giurisprudenza della II Sezione Civile, e quella della teoria causale, sostenuta dalla III Sezione Civile.
Le Sezioni Unite hanno confermato la linea evolutiva della giurisprudenza della II Sezione Civile, nel senso che la locuzione “danno in re ipsa” va sostituita con quella di “danno presunto” o “danno normale”, privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato.
La sentenza delle Sezioni Unite definisce, altresì, la nozione di danno risarcibile in presenza di violazione del contenuto del diritto di proprietà esso riguarda non la cosa ma il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa sicché il danno risarcibile è rappresentato dalla specifica possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata persa quale conseguenza immediata e diretta della violazione.
Il nesso di causalità giuridica si stabilisce così fra la violazione del diritto di godere della cosa, integrante l’evento di danno condizionante il requisito dell’ingiustizia, e la concreta possibilità di godimento che è stata persa a causa della violazione del diritto medesimo, quale danno conseguenza da risarcire.
Nel caso in cui la prova sia fornita attraverso presunzioni, l’attore ha l’onere di allegare il pregiudizio subito, anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.
Il principio enunciato dalle Sezioni Unite, riferito alla perdita della disponibilità/godimento dell’immobile per la diversa ipotesi di occupazione senza titolo da parte di un terzo, trova applicazione anche nelle ipotesi in cui la perdita della disponibilità/godimento sia dovuta alla inagibilità dell’immobile in conseguenza dell’attività colposa di terzi.
La Corte di merito ha omesso di accertare se, a causa del protrarsi delle infiltrazioni, l’attrice avesse perso il godimento sia diretto, sia indiretto mediante locazione, del suo appartamento, in quanto non poteva né goderlo, né concederlo a terzi in caso di inabitabilità.
La Corte territoriale, pur asserendo di aderire all’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, confermato dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite, ha erroneamente rigettato la domanda dell’attrice per carenza di prova di concrete richieste di locazione o di vendita dell’immobile rimaste pregiudicate dalle sue condizioni degradate.

4. Il ricorso deve, pertanto, essere accolto in relazione al primo, al secondo e al settimo motivo, dichiarati assorbiti i restanti mezzi per il pregiudiziale accertamento di cui alle censure accolte (il terzo motivo di ricorso con cui si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio per avere la Corte d’Appello erroneamente affermato che la convenuta avesse eliminato le cause delle infiltrazioni nel corso del procedimento cautelare; il quarto motivo di ricorso, con cui si deduce l’omesso esame di più fatti decisivi per il giudizio, aventi ad oggetto l’inosservanza del dovere dell’attrice di cooperare con il debitore per l’esecuzione delle opere di ripristino dell’appartamento danneggiato a seguito delle infiltrazioni; il quinto motivo di ricorso, con cui si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio con riguardo all’affermazione della Corte d’Appello secondo cui le infiltrazioni sarebbero terminate dopo i lavori eseguiti dalla convenuta; il sesto motivo, con cui è dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo in relazione all’obbligo dell’attrice di rimuovere la situazione pregiudizievole; l’ottavo motivo di ricorso, con cui si deduce la violazione dell’art.112 c.p.c., 343 c.p.c. e 346 c.p.c., con riferimento al regolamento delle spese di lite).
4.1. La sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione, che nel riesaminare la vicenda si atterrà ai seguenti principi di diritto
“L’individuazione delle parti comuni, come i lastrici solari, emergente dall’art. 1117 c.c., ed operante con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, non siano destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari, può essere superata soltanto dalle contrarie risultanze dell’atto costitutivo del Condominio, ove questo contenga in modo chiaro e inequivoco elementi tali da escludere l’alienazione del diritto di condominio”.
“Nell’ipotesi di perdita della disponibilità e del godimento dell’immobile in conseguenza dell’attività colposa di terzi, il proprietario è tenuto ad allegare, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito, sotto il profilo della perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a un canone superiore a quello di mercato; a fronte della specifica contestazione del convenuto, la prova può essere fornita anche mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza” .

Il giudice di rinvio regolerà le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo e il settimo motivo di ricorso, assorbiti i restanti;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione.

Così deciso in Roma il 9 maggio 2024.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2024.

  1. dalla motivazione; «con le pronunce di questa corte nelle quali è stato richiamato il concetto di presunzione, non si è inteso affermare che la prova della proprietà esclusiva delle cose comuni di cui all’art. 1117 cod. civ. possa essere fornita con ogni mezzo e non con il solo titolo cui la norma espressamente si riferisce, ma si sono volute escludere dallo stesso complesso delle cose comuni quelle parti che per le loro caratteristiche strutturali risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari di un determinato edificio. In altri termini, ritenendosi in tali decisioni che ”la destinazione particolare vince la presunzione legale di condominio alla stessa stregua di un titolo contrario”, benché si sia richiamato erroneamente il concetto di presunzione, del tutto estraneo alla norma dell’art. 1117 civ., si è pero, enunciato anche il principio, indubbiamente corretto, secondo cui una cosa non può proprio rientrare nel novero di quelle comuni se serva per le sue caratteristiche strutturali soltanto all’uso e al godimento di una parte dell’immobile oggetto di un autonomo diritto di proprietà. L’equivoco che dall’espressione adottata in dette sentenze potrebbe tuttavia derivare, consiste nel ritenere che la cd. presunzione legale di comunione possa essere vinta sia dalla destinazione particolare del bene, sia dal titolo, mentre è solo da quest’ultimo che una cosa comune può risultare di proprietà singola, in quanto la destinazione particolare esclude già all’origine che il bene rientri nella categoria delle cose comuni, e che ad esso possa quindi riferirsi la norma dell’art. 1117 del codice civile. Come esempio chiarificatore può considerarsi l’ipotesi di una scala che serva per accedere a un solo appartamento dell’edificio condominiale. Non può dubitarsi che essa sia di proprietà esclusiva del titolare di questa unità immobiliare, ma non perché la sua destinazione particolare superi la presunzione legale di comunione, bensì in quanto in tale caso la scala per le sue caratteristiche strutturali non rientra proprio nell’ambito delle cose comuni di cui all’art. 1117 del codice civile.» ↩︎

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